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Testimonianze di coraggio: Luigi Ranieri, l’imprenditore palermitano senza clan alle spalle

Il 14 dicembre 1988, con un agguato davanti alla sua villa, Luigi Ranieri, un imprenditore palermitano, fu colpito a morte con colpi di lupara al fianco sinistro e al cuore.
Ranieri, 60 anni, era l’amministratore delegato della società Sageco, che si occupava di molteplici attività: lavori all’ aerostazione di Punta Raisi, appalti nel quartiere dello Zen, cantieri aperti in mezza Sicilia per costruire canali e gallerie. Ma innanzitutto Ranieri era un costruttore pulito, che non si era mai voluto assoggettare “al sistema degli appalti” controllato da Cosa Nostra.
Era diventato un imprenditore che stava allargando troppo le sue attività senza avere un clan alle spalle, in un contesto dove non esisteva più un solo padrone ma tanti piccoli comandanti pronti a “dividersi la torta”, non disdegnando l’uso dei fucili.
Nessun dubbio, quindi, sul contesto in cui il delitto è maturato: un assassinio economico-mafioso, legato al mondo degli appalti. La resistenza di Ranieri alle pressioni mafiose è stata confermata da vari pentiti tra cui Salvatore Cancemi, Giovanni Battista Ferrante, Leonardo Messina e Balduccio Di Maggio. Per questo delitto sono stati condannati all’ergastolo Totò Riina e Salvatore Biondino con sentenza n. 6/95 del Tribunale di Palermo, confermata dalla sent. n. 41/96 della Corte di Assise di Appello di Palermo e dalla Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 573/1998.
Lo Stato ha onorato il sacrificio di Ranieri con il riconoscimento concesso a favore dei suoi familiari, costituitisi parte civile nel processo, dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/99.