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Agrigento: Mimmo Galletto e le sue donne (gallery di Diego Romeo)

Fa l’en plein il Parco Archeologico con Mimmo Galletto sulla scena allestita a ridosso del Tempio di Giunone.
E l’Eduardo di Raffadali non delude le attese e ci riconferma, con una concisa compilation delle sue opere, il “come siamo e il come eravamo” sempre sul filo del sarcasmo, dell’ironia e dell’immancabile affondo sul fattore umano che lo collocano tra i grandi del teatro nostrano.
Lo spettatore sta al gioco del coltello nella piaga e del resto lo diceva il grande Hitchkoch “il pubblico vuole essere spaventato”.
Galletto non è che ti spaventa, lui la paura l’alleggerisce nella risata, nella smorfia beffarda, nell’implacabile dialogo che “atterra e suscita” i personaggi. Che qui sono bravissimi, messi tutti al posto giusto, collaudati e affidabili per il lungo tempo in cui Galletto se li è cresciuti nel suo Piccolo Teatro di Raffadali.
Ritorno molto atteso quello di Mimmo Galletto sulla scena anche perché l’attore-scrittore-regista non si è mai offerto troppo “in pasto” allo spettatore. A teatro, la lontananza del palcoscenico, a nostro parere, non gli ha mai reso giustizia. I suoi monologhi esigono il primo piano televisivo che lui trasforma in una inondazione, un arrembaggio tra risa, pianto e “scattacori”.
Stavolta porta in scena le sue donne, i numerosi personaggi femminili delle sue commedie che ha voluto fossero “protagoniste”. Lui si ritaglia alcune particine e ci manca poco che il suo harem teatrale lo divori mentre lui si da un bel da fare a gesticolare con la sapiente regia delle mani, delle pause, dei soprassalti scanzonati della voce quando deve “doppiare” (poco) immaginari antagonisti e interlocutori.
Ogni suo spettacolo, visti i tempi e i gusti dei potentati, risultano così un risarcimento tardivo del teatro agrigentino dalla familistica gestione.
Per fortuna Mimmo Galletto si rappresenta da se, riempie i pochi metri quadrati della sua scena, e anche in un contesto storico-sociale (sotto pochi aspetti) cambiato, ripete l’impatto di queste storie sul pubblico. Impatto che continua ad essere forte, immediato, capace di far emergere emozioni, pensieri e ideali condivisi di partecipazione. Semplicemente speriamo, lo abbiamo scritto altre volte, che questa esperienza: incoraggi un qualche passaggio di testimone tra le generazioni, perché continui a rinnovarsi la tradizione di quel teatro popolare e ‘politico’, che è alla radice della nostra cultura e del modo di essere attori, autori, registi. Appagante nel suo teatro la vendetta creativa contro la sopraffazione dei poveri, degli analfabeti, dei deboli, e al contempo distruttore della gabbia di certe tradizioni che non liberano.
Mimmo Galletto dal popolo impara e al popolo restituisce. Un filtraggio sopraffino, eseguito nel suo dialetto raffadalese, una offerta di liberazione per lo spettatore e per lo stesso teatro che “finisce, muore e bisogna ritrovarlo – ammoniva il grande Eduardo De Filippo – e per questo occorre una grande capacità di rinnovamento e di lavoro su se stessi da parte di tutti coloro che partecipano a questa avventura”.

Galletto in una sua tipica espressione
Alfonsina Dominici e Roberta Gaziano
Giusi Galletto in una scena
Il nostalgico mussoliniano
Il procacciatore di pensioni
La rabbia della moglie per la presenza della Tedesca
La Tedesca
L'attrice Giusi Galletto
Loredana Cicero e Mimmo Galletto
Un episodio iniziale con Clarissa Sicurelli
Un momento della messinscena
Una scena ammiccante

Gli attori sono tutti di strettissima e sorprendente scuderia raffadalese che hanno fatto rivivere la straordinaria galleria di opere che va da “L’occhiu di la genti” a “Nenè”, “Quannu si voli beni”, “La Tedesca”: Loredana Cicero, Alfonsina M. Dominici, Giovanna Dominici, Giusy Galletto, Elide Vella, Francesco Vella, Clarissa Sicurelli, Roberta Gaziano, Enzo Cardella, Giuseppe Barbaro, Claudio Gaziano. Presentatrici Brunella Alba e Concita Salvaggio.