Giudiziaria

Termina l’incubo per i dipendenti rimossi a seguito di provvedimento per infiltrazione mafiosa

Con ricorso proposto innanzi il Tar del Lazio, due geometri dell’area tecnica del Comune di Belmonte Mezzagno, impugnavano il provvedimento di rimozione dal proprio servizio a seguito dello provvedimento adottato dal Ministero dell’Interno per infiltrazione mafiosa nell’anno 2011.

La questione tre origine dalla nota indagine che portò all’arresto dell’intera consorteria mafiosa di

Belmonte nella operazione c.d. Perseo.

Ed infatti, l’ente comunale era stato oggetto dell’attività di indagine della Commissione ispettiva nominata dal Prefetto di Palermo che aveva rimosso il lavoratori con decreto, destinandolo ad altre funzioni chiedendone altresì il licenziamento disciplinare per i gravi fatti contestati.

I ricorrenti, difesi dall’avvocato Giuseppe Ribaudo, sostenevano l’estraneità da ogni forma di condizionamento nell’esercizio delle loro funzioni e da ogni forma di appartenenza o concorso alla consorteria mafiosa, contestando gli addebiti amministrativi ritenuti infondati. La difesa ha censurato una serie di violazioni di legge nel decreto impugnato.

In particolare, è stato evidenziato che vi era innanzitutto eccesso di potere per difetto di istruttoria e violazione del principio del giusto procedimento. In particolare, infatti, non è stata consentita la partecipazione dell’interessato al procedimento, senza che ricorressero esigenze di celerità, non essendo stata disposta l’immediata sospensione dall’impiego del dipendente; inoltre, è stata rilevato lo sviamento di potere – in quanto il ricorrente, in relazione ai procedimenti amministrativi richiamati dalla scheda riassuntiva allegata al provvedimento impugnato, con riferimento ai quali gli venivano contestate irregolarità commesse nelle procedure d’urgenza nella qualità di incaricato del servizio Lavori pubblici, non aveva adottato nessun atto preparatorio o istruttorio, né il  conseguente impegno di spesa, non essendo il responsabile, ed avendo redatto esclusivamente la relazione tecnica.

Inoltre, i ricorrenti hanno eccepito la violazione e falsa applicazione dell’art.143 dlgs 267/2000, in quanto non sussiste alcuna delle irregolarità né nel riferimento al ruolo di direttore dei lavori svolto

nell’ambito dell’appalto per la manutenzione straordinaria delle strade finanziata dalla Protezione civile regionale; né nella stipula del contratto di conduzione e manutenzione degli impianti termici e antincendio nei plessi scolastici comunali, nell’ambito del quale il ricorrente aveva liquidato i compensi alla ditta incaricata del servizio dopo aver accertato il regolare svolgimento delle prestazioni come da programma di manutenzione; né nelle concessioni edilizie rilasciate né per ciò che concerne il distacco delle forniture idriche degli utenti morosi.

Il Tar del Lazio con sentenze 4501 e 4514 del 2018 ha accolto i ricorsi, confermando la tesi difensiva dell’avv. Ribaudo, e salvando i lavoratori, rilevando che: “Dall’esame degli addebiti mossi non emergono, in conclusione, indici univocamente significativi di un collegamento tra ricorrente ed esponenti delle famiglie mafiose operanti sul territorio comunale (consistenti, ad esempio, in frequentazioni, incontri, telefonate), né del condizionamento dell’operato del ricorrente da parte di queste ultime.”

L’avv. Ribaudo si ritiene soddisfatto per il provvedimento del Tar del Lazio: “essendo legittima e giusta nella parte in cui ha ritenuto gli addebiti infondati ed escludendo qualsiasi forma di condizionamento in favore della cosca di Belmonte Mezzagno”.