Giudiziaria

Processo al cugino del boss Falsone, parla Sardino: “Comanda Middioni ma il mandamento lo regge Pino Gambino”

E’ stato il giorno di Giuseppe Sardino, il pentito ed ex consigliere comunale di Naro, fedelissimo e servitore di Giuseppe Falsone, l’ex primula rossa della mafia agrigentina, che ha testimoniato nel processo d’appello a carico di Gioacchino Angelo Middioni, 41 anni, cugino del boss Falsone, accusato di essere a capo della famiglia mafiosa di Campobello di Licata.

Middioni, difeso dall’avvocato Giovanni Castronovo, è stato assolto  in primo grado il 3 dicembre 2015 dai giudici della prima sezione penale del Tribunale di Agrigento presieduta allora da Giuseppe Melisenda Giambertoni.

Il pentito Sardino, interrogato dal procuratore generale Giuseppe Fici e poi esaminato dall’avvocato Castronovo,  è stato molto chiaro: “Sono stato vicino a Giuseppe Falsone aiutandolo a rendersi latitante. Viveva in un casolare tra Naro e Favara, a 500 metri dal mio pezzo di terra. Sono stato con lui dal 2003 al 2007, poi venne preso in custodia dai Capizzi nella zona di Ribera. Quando era a Naro lo vedevo quasi tutti i giorni dopo ogni 15 giorni, di sabato. So, perché me lo ha detto Falsone, che Angelo Middioni che non conosco e non ho mai incontrato e non c’è stata occasione, comanda la famiglia di Campobello di Licata mentre il mandamento lo ha guidato Pino Gattuso. Non ho conoscenza di reati commessi da Middioni per Cosa nostra”.

La Corte d’Appello di Palermo – presieduta da Giacomo Montalbano – ha poi ascoltato la testimonianza di Salvatore e Calogero Paci, imprenditori, padre e figlio, catturati nel corso dell’operazione “Apocalisse”.

Storia controversa quella dei Paci. Prima ritenuti affiliati al clan di Falsone ed anche prestanome del boss. Poi, dopo l’assoluzione in primo grado e prima dell’inizio del processo d’appello, hanno deciso di collaborare con la giustizia. Un memoriale scritto da Paci figlio ma firmato da Paci padre ha fatto scattare un’inchiesta che oggi li ha visti deporre come testi assistiti e comunque collaboranti.

La decisione di collaborare, nonostante l’assoluzione, la spiega Salvatore Paci, il capofamiglia: “Avevo paura di Falsone”.

Il concetto non è stato chiarito al meglio nonostante le domande dell’avocato Castronovo e del presidente Montalbano che mettevano in evidenza un dato: con Falsone fuori, i Paci non si erano pentiti, con Falsone catturato (nel 2010) è arrivato il pentimento.

Il processo riprenderà il prossimo 9 maggio con l’escussione del teste Palermo (imparentato con i Paci) e con la requisitoria del Pg, Giuseppe Fici.