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Processo Vultur: mazzate per Lillo Di Caro e Saro Meli “u puparu”; il tramonto dei vecchi boss

Quasi settanta anni di carcere per tutti gli imputati, il risarcimento di tutte le parti civili compresi gli imprenditori che hanno deciso di rompere il muro del silenzio e denunciare (primo caso a Camastra) le richieste di pizzo, la confisca dell’agenzia di pompe funebri riconducibile alla famiglia Meli.  Una vera e propria mazzata nei confronti degli imputati del processo “Vultur”, conclusosi alcuni giorni fa con tutti gli imputati condannati.

Chiuso, di fatto, il il primo capitolo giudiziario della vicenda: 17 anni e 6 mesi a Rosario Meli, capo della famiglia mafiosa di Camastra; 14 anni e 6 mesi al figlio Vincenzo, che ha coadiuvato il padre; 13 anni e 6 mesi al tabaccaio del paese Calogero Piombo, riconosciuto il cassiere della famiglia di Camastra; 22 anni (in continuazione con due precedenti condanne) per Lillo Di Caro, “pezzo da novanta” della imperitura mafia di Canicattì.

Ma ripercorriamo le tappe della vicenda con le indagini i protagonisti e tutte le accuse.

LE INDAGINI. L’operazione Vultur scatta la notte tra il 6 ed il 7 luglio 2016 quando i poliziotti della Squadra mobile di Agrigento guidati da Giovanni Minardi arrestano cinque persone. Per comprendere come si arriva all’esecuzione delle ordinanze cautelari bisogna fare un passo indietro e ritornare ai giorni immediatamente successivi al 26 gennaio 2011 giorno in cui furono ritrovati sotto un cavalcavia in contrada Cipolla, a Palma di Montechiaro, Giuseppe Condello ed il suo guardaspalle Vincenzo Priolo. Comincia l’attività di indagine. La Squadra mobile di Agrigento, muovendosi nell’ambito del duplice-omicidio, focalizza l’attenzione investigativa sul piccolo centro di Camastra. Proprio in questo paesino di poco più di 2 mila anime Giuseppe Condello, noto pregiudicato, aveva deciso di spostare i propri interessi criminali: richieste di pizzo ai commercianti, scenate in paese, atteggiamenti da vero boss. Entrando, questa l’ipotesi accusatoria confermata, in aperto contrasto con Rosario Meli, alias “u puparu”, a cui dunque si sostituisce spodestandolo.

IL MURO DEL SILENZIO. Questa circostanza viene confermata agli inquirenti anche da un imprenditore di origine non camastrese che opera nel settore delle onoranze funebri. Vincenzo De Marco fa una cosa che raramente si vede da queste parti: rompere il muro del silenzio. E decide di raccontare tutto, ammettendo di aver pagato per anni il pizzo e denunciando i suoi aguzzini. In cambio venne bruciata una Opel Astra della moglie, diversi mezzi che usava per il lavoro e non pochi “segnali” che diventano frastuoni in una realtà minuscola come quella di Camastra. Il 20 luglio 2012 si siede davanti agli inquirenti e racconta che “che le estorsioni a Camastra in quel periodo venivano praticate esclusivamente dal Condello che aveva estromesso del tutto la famiglia Meli da ogni attività illecita di Camastra” . Che proprio a Condello (“temuto e rispettato”) venivano elargiti a titolo di “protezione” 500 euro, gli stessi ritrovati dentro la tasca dei jeans il giorno del suo omicidio e consegnati da De Marco ventiquattro ore prima. Infine racconta che dopo la morte di Condello, in una occasione pubblica nel febbraio 2012, Rosario Meli si avvicinò dicendogli “Ora mettici un punto… da questo funerale i 500 euro che davi a Condello li porti a me”.

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