Agrigento

Agrigento: Ersilia Drei “nuda” icona in cerca d’autore

Lasciatemi morire in silenzio, nuda.  Andatelo a dire che questa morta non s’è potuta vestire”.

Sono le ultime parole di Ersilia Drei, (interprete l’agrigentina Vittoria Faro), mentre lentamente in dissolvenza scompare dietro il velario-mansarda allestito da Antonia Petrocelli. La tela non fa in tempo a chiudersi che già scrosciano gli applausi. Quando si riapre, gli attori sono tutti lì a ringraziare, mentre  Gaetano Aronica che ha curato l’adattamento e la regia di “Vestire gli ignudi”, condivide con loro la soddisfazione di avere condotto in porto la prima produzione teatrale del “Teatro Pirandello”.

Si sa, qui ad Agrigento e di solito nella vita di provincia stiamo tutti dentro come in un fazzoletto e non sempre il familismo che ci connota produce effetti deleteri. Anzi, questa volta Aronica, fuggito alcuni decenni fa da Agrigento per amor di teatro ha fatto quello che era giusto fare chiamando a interpretare questa commedia di Pirandello tutti attori siciliani (Andrea Tidona di Modica) e tutti gli altri agrigentini, da Vittoria Faro a Barbara Capucci, Fabrizio Milano e Stefano Trizzino.

Tutti al posto giusto per portare in tournèe “Vestire gli ignudi”.

Da rilevare in questa nuova edizione della commedia l’interpretazione di Vittoria Faro che finalmente riusciamo a vedere nella compiutezza di un personaggio e che segna un traguardo importante per la sua carriera di attrice.

Al severo e lineare stile scelto da Aronica, la Faro impone e pervade la scena della sua fragilità e “amara” dolcezza di donna-operaia, profetizzata da Pirandello come “settimo personaggio in cerca di autore” e come oggetto di una reificazione che oggi inonda le cronache dei media efferati e degli ancor più efferati social network.

Vestire gli ignudi
Vestire gli ignudi
Vestire gli ignudi
Vestire gli ignudi
Vestire gli ignudi
Vestire gli ignudi

Aronica fa bene a ricordarlo nelle sue note di regia e si attiene, come dicevamo ad  uno stile severo e lineare perché tanto è inutile infierire con colpi straripanti di regia.

Massimo Castri, negli anni 70-80 portò la vicenda di Ersilia Drei a livelli tali da far gridare allo scandalo gli eredi di Pirandello. Oggi la quotidianità ha superato la fantasia profetica degli scrittori, i muri sono tutti affrescati e rimane esiguo lo spazio delle creatività nel teatro di regia.

Per adesso ci basta non  dimenticare  che “Vestire gli ignudi” è il prototipo dello sfruttamento operaio e sessuale, della disastrosa precarietà e fa bene ancora Aronica  a rimarcare  che la commedia di Pirandello “è una storia di sesso,  potere e visibilità mediatica che sembra scritta ai giorni nostri. Ed è soprattutto la storia di una libertà, di una ribellione ad una società imprigionata nei meccanismi della forma”.

Da buon ammiratore e osservatore di Castri e del teatro odierno, Aronica è consapevole di non aggiungere una  ulteriore “armatura politica” al testo, di  non dare una costruzione  dove l’emozione per il meraviglioso, per lo splendore funzionale del meccanismo scenico si consumerebbero all’interno dello spettacolo stesso.

E’ già bastevole la scelta fatta dal regista per “Vestire gli ignudi” come operazione teatrale che trova la sua sorgente nei problemi e interessi di una precisa comunità.

Che tra l’altro ha bisogno, come ha dimostrato la partecipazione al concorso  “Un teatro per tutti”, indetto dalla Fondazione Pirandello, di una forte esternazione teatrale e per questo non saremmo lontani dalla creazione di un cartellone parallelo dedicato alle compagnie locali. Proposta che da tempo ribadiamo su Grandangolo e che abbiamo sottolineato nel verbale di giuria firmato da tutti i componenti la commissione.

Se la letteratura è vita, il teatro ne è ”l’installazione  corporea” in tempi in cui la vita quotidiana è campo di indagine obbligato e permanente, dove la rivelazione di un disagio corrode strutture e istituzioni del controllo sociale.

E solo una società non più fondata sullo sfruttamento può contenere in se le premesse per il superamento dell’alienazione.

Testo e foto di Diego Romeo