Agrigento

Agrigento: il lutto si addice ad Elettra e al Parco archeologico (foto-gallery)

Che succede al Parco Archeologico?

Prima le polemiche sull’aumento del prezzo del biglietto per Jan Fabre, artista rinomato e poco compreso dal grande pubblico che invade la Valle dei Templi e che si è ritrovato  accanto al  tempio della Concordia una serie di enormi cassettoni che da lontano potevano sembrare armadi per il vestiario degli dei o degli enormi water-closet per Telamoni. Poche esplicazioni nel volantino distribuito all’ingresso senza pensare che non tutti leggono (o avranno potuto leggere) il bell’articolo che a Fabre ha dedicato Achille Bonito Oliva su Repubblica.

E poi la programmazione teatrale di cui sono responsabili Parco, Coopculture e il loro trait d’union Marco Savatteri designato direttore artistico.

Impossibile per tutti e tre scaricarsi delle responsabilità di questa stagione parecchio anomala e visibilmente generosa per le piccole compagnie che all’infuori di “Non è vero ma ci credo” con un grande Enzo Senaldi, ha mostrato  un insolito accanimento su Luigi Pirandello con l’entrare nella vita familiare dell’agrigentino ricreando uno spaccato di follia e di sofferenza penalizzati da un testo e da una regia non proprio adeguati.

Questo crossing su Pirandello è stato aggravato da un’altra messa in scena che ha  trasformato l’avventore dell’Uomo dal fiore in bocca in un predicatore mellifluo per consolazioni che non consolano.

Di Pirandello invece se ne è occupato Enzo Gambino con una giusta presa stilistica e una straripante inventiva (ha tradotto con versi suoi la vicenda di Tararà) sfogliando le pagine dello scrittore agrigentino mantenendone intatta la caratura della teatralità.

In definitiva si è avvertito come le Coopculture che possiamo immaginare comprensibilmente in stato confusionale per le inchieste dell’Espresso e di Affariitaliani.it che a sua volta  ha sollecitato il governo a fargli pagare le tasse (che legalmente non pagano), indecise tra rimasugli dalemiani e scarti renziani, lasciando ampi spazi persino alla inventiva  generosa del direttore artistico  che si è ritagliato tre o quattro serate compresa quel “Luna Pazza” di cui aveva firmato la regia insieme a Gaetano Aronica e affastellando poi  due spettacoli teatrali  per sera.

Come ai vecchi tempi degli anni 60 nei cinema di paese: due film cento lire.

Evidentemente Savatteri ha compreso poco l’impatto cultural-emozionale che può avere sugli spettatori una rappresentazione di “teatro”. Non solo, ma ha poco compreso Pirandello se in “Luna Pazza” inserisce l’aria del Turandot “Vincerò” su quelle povere anime pirandelliane sconfitte dalla vita e tormentate dalla ricerca di una mai raggiunta identità. E poi è inutile portare sulla scena estiva di Giunone  gli spettacoli  che si sono visti d’inverno. C’è il  rischio che Gaetano Aronica non gli tiri più la volata e vada per conto suo come ha fatto alla Kolimbetra mettendo in scena se stesso e la sua generazione.

Ne abbiamo dato ampio riconoscimento su Grandangolo insieme allo spettacolo di Elisabetta PozziCassandra” indovinatissima messinscena voluta da Emanuele Farruggia.

E oltre a “Cassandra” ha bucato la scena anche “Elektra” di Hoffmanstal nella versione rigorosa che ne ha dato la regia e l’interpretazione  di Vittoria Faro.

Agrigento non è nuova a visionare il destino di Elettra iniziato alla grande il 12 settembre del 1988 presso il teatro delle Panatenee con l’Elektra di Strauss mentre l’anno scorso Maren Kessler portò al Tempio di Giunone una “Elektra-Elektro” con la performance di suono e danza di Simone Scacchetti. Ne scrivemmo il 4 settembre 2017 su Grandangolo.

Con l’Elektra della Faro le cose si sono” piacevolmente” complicate con il Parco archeologico che suo malgrado è stato costretto a recitare la parte del coro (che in una tragedia è sempre d’obbligo).

Elektra di Vittoria Faro
Coro grecizzante
Disperate
Elektra di Vittoria Faro
Elektra di Vittoria Faro
Elektra di Vittoria Faro
Elektra di Vittoria Faro
Elektra di Vittoria Faro
Elektra di Vittoria Faro
Elektra di Vittoria Faro
Elektra di Vittoria Faro
Elektra di Vittoria Faro
Elektra di Vittoria Faro
Elektra di Vittoria Faro

Cosa è accaduto ce lo facciamo raccontare dalla stessa  Vittoria Faro.

Ad Agrigento Elektra non c’è mai stata. Sento la necessità, amici e conterranei, di raccontarvi cosa sia realmente accaduto la sera del debutto di Elektra alla Valle dei Templi, il 24 agosto scorso. Lo debbo ai tanti di voi che sono accorsi per assistere allo spettacolo, a quelli che mi hanno applaudito e ai tanti che non sono potuti restare. Lo debbo perché nessuna comunicazione ufficiale dell’organizzatore della rassegna, del Parco, o del Comune, nessun articolo di giornale, critica o semplice notizia ha raccontato la vicenda: nessuno si è scusato con il pubblico per quanto ha dovuto sopportare”.

Andiamo ai fatti.

“Il giorno prima del debutto, 23 agosto, è stata emanata un’ordinanza di allerta meteo; ma noi ne siamo stati informati solo sei ore prima dello spettacolo, a cielo peraltro sereno e previsto tale, con il rimando di ogni decisione alla sera, appena la direzione del Parco si fosse espressa”.

Ma vi hanno comunicato il rinvio?.

“Ma mai, né in quella mail né successivamente, ci è stato comunicato formalmente l’annullamento o il rinvio, come, del resto, nessuna variazione è stata trasmessa all’agenzia Siae che aveva rilasciato il permesso. Per la Siae, infatti, – paradosso nel paradosso – quella sera i biglietti sono stati regolarmente venduti e lo spettacolo si è regolarmente svolto”.

In dettaglio, cosa è accaduto dalle 18 in poi?

“Alle 18,00 la mia compagnia era sul posto per la preparazione di rito. Alle 20,00 il botteghino ha iniziato la vendita dei biglietti al pubblico che, in assenza di controllo all’accesso dell’area teatrale, ha cominciato ad accomodarsi in platea. Ignara di quanto succedesse al botteghino, mi sono ritrovata all’ora prefissata in una situazione surreale: più di cento persone sedute che reclamavano la rappresentazione, confuse dalle indicazioni contraddittorie ricevute al botteghino, circa l’orario, il prezzo variabile del biglietto, i rimborsi a certuni garantiti ad altri negati, i presunti omaggi di una visita nelle catacombe del parco (nelle catacombe con l’allerta meteo?!?) in attesa dello spettacolo, che qualcuno sapeva rimandato a dopo la mezzanotte”.

Ma ho visto che vi hanno spento addirittura le luci con la platea anch’essa al buio.

“Al service era giunto l’ordine di spegnere gli impianti, lasciando il pubblico in platea e gli attori nella grotta-camerino in condizione di pericolo e di estrema tensione, (ho trovato i miei attori disorientati e spaventati)”.

Una fase critica certo, ma l’organizzazione in questa fase come si è espressa?

“Nessuno della direzione e dell’organizzazione che si assumesse la responsabilità di salire sul palco a dare disposizioni certe, mentre ci riferivano che il direttore del parco e il sindaco si sentivano al telefono, rimandandosi l’onere della deroga. In quella situazione di estrema confusione mi sono sentita in dovere di salire sul palco al posto degli organizzatori reticenti, e, al buio, con una torcia e senza microfono, spiegare al mio pubblico cosa stesse accadendo, e quanto fossimo disponibili in qualsiasi momento ad andare in scena, ma anche a chi andassero ascritte le responsabilità di quel caos”.

Facile immaginare la rabbia e il disagio. Anche del  pubblico che rumoreggiava.

“Sentendomi nel pieno diritto da artista che in quella terra è cresciuta, vivendo sulla propria pelle un disagio che si perpetra immutato nel tempo, di esprimere la mia rabbia per l’ennesimo sopruso che mi toccava sopportare, finita vittima – come anello debole – di un conflitto di competenze e di rimpalli di potere e responsabilità. Rimuovendo per una volta – e lo rifarei – il velo di “opportuno” silenzio, di omertà e ipocrisia che nella terra di Pirandello confonde, mistifica, fino a ribaltarlo, il senso della realtà. Fino ad arrivare a pronunciare in pubblico quella parola che nella mia terra è sulla bocca di tutti ma che dalla bocca non esce mai, come una bestemmia indicibile, un tabù insormontabile, una tara o un vizio genetico: la mafia”.

E’ chiaro, non voleva più subire. Gli equivoci che rimbalzavano erano troppi e il pubblico lo aveva  capito  benissimo.

“Non perché pensi che qualcuno dei miei interlocutori di quella sera fosse un affiliato alle cosche, certamente no. Ma altrettanto certamente dovevo prendere atto ancora una volta delle modalità con cui nella mia terra il potere da un canto si esercita a ricasco dell’anello più debole, e dall’altro, nell’omertosa rassegnazione, si subisce”.

Da questa vicenda che opinione trae sulla condizione dell’artista che tra l’altro Emma Dante ha descritto così bene in “Nudi e crudi?

“Un artista poi… da noi l’artista non è un professionista da rispettare, ma una sorta di giullare di una categoria inferiore, che deve essere pronto a entrare in scena a comando, che nell’emergenza è il primo a sacrificarsi, che non può appellarsi ad un contratto come un qualsiasi altro stimato professionista, non merita un compenso adeguato perché deve accontentarsi dell’occasione di esibirsi, alla mercè e alle condizioni – se non ai capricci- di chi gliene regala la possibilità. In questa disputa l’unica verità certificata dai fatti è che alle 22,30 l’organizzazione, ordinata la riaccensione dell’impianto, ha autorizzato la rappresentazione, facendoci intendere che si sarebbe fatta passare per una “prova generale aperta”, risolvendo  con uno stratagemma “alla siciliana” il rimpallo di responsabilità.  Così è andata”.

Fin qui è andata così ma dopo c’è dell’altro?

“La farsa, nella terra di Pirandello, richiedeva un finale altrettanto surreale. A spettacolo terminato, una delegazione dell’organizzazione, marcandomi stretta per controllare cosa dicessi agli spettatori che venivano a salutarmi, mi ha poi raggiunta in camerino, e, come a dimostrare che le mie non erano fantasie paranoiche, si sono detti mortificati per la cattiva immagine che avevo dato di loro e della nostra terra. Sorpresi che non avessi debuttato a mezzanotte (?!?!), con una decina di spettatori in platea (ai quali era stato stranamente venduto il biglietto a rappresentazione in corso), mi invitavano a ritrattare pubblicamente il mio discorso, rischiando, in caso contrario, serie ripercussioni. Attenta, mi hanno detto, ad Agrigento Vittoria Faro non avrebbe mai più lavorato. Due giorni dopo ho ricevuto una lettera di risoluzione del contratto per inadempienza: la rappresentazione, dicono, non risulta mai avvenuta. Per risarcire il presunto danno, – a fronte di un cachet unilateralmente ridotto a 5.000 euro – l’organizzazione ne pretende da me Centomila! Come se, una compagnia di artisti che per chi li ha incaricati non valgono nemmeno 500 euro a testa, riescano a produrre danni per venti volte il loro stesso valore. Questa la verità che ad Agrigento tutti hanno sentito girare ma che nessuno racconta. Calando sulla vicenda un drappo nero come il mantello insanguinato di Agamennone, come se davvero la rappresentazione quel 24 agosto non fosse mai avvenuta, come se il pubblico che mi ha omaggiata fosse un mio sogno. Come se Vittoria Faro avesse solo portato la sua compagnia in vacanza, come se Elektra nella terra di Pirandello non fosse mai passata”.

Testo e foto di Diego Romeo