Agrigento

Agrigento, Sogno (ma forse no) di Pirandello: un vero bocconcino per le tecnologie digitali (gallery di Diego Romeo)

Pirandello scrisse “Sogno ma forse no” all’inizio degli anni trenta e dopo la prima avvenuta a Lisbona nel 36 pochissime furono le messe in scena.
Opera fluttuante e allucinatoria, probabilmente le lunghe ed elaborate didascalie dovettero rappresentare un incubo per i registi che vi ponevano mano, con tutti quei richiami ad un espressionismo che nel 1922 era esploso con il Nosferatu di Murnau.
E di questa visionarietà anche l’edizione andata in scena ad Agrigento per la regia e l’interpretazione di Vittoria Faro ne reca ampi segni nelle immagini e nell’accenno ad ombre vampiresche che si stagliano sullo sfondo. Una messinscena molto accurata nei suoni e nell’uso di una tecnologia digital-elettronica che la grandezza di Pirandello intuiva o voleva profetizzare. Pensate un po’ cosa potrebbe venirne fuori con una regia in mano a Mario Bava, Fulci o Tarantino (unico ancora vivente) o Romero (scomparso di recente).
Vittoria Faro sceglie insieme ad Antonio Pizzola (scene e design) una chiave espressionista che surclassa indubbiamente un recentissimo (qualche settimana fa) “Sogno ma forse no” rappresentato al Caos e altre edizioni che si sono avvicendate ad Agrigento nel 2015 al Tempio di Giunone e nel 2008 persino nel Convegno internazionale di studi pirandelliani.

Atmosfere alla Nosferatu di Murneau
Elisabetta Ventura
Faro e Giambirtone
Giambirtone e vittoria Faro
Il tocco della collana
La collana oggetto del desiderio

La cronaca di questi ultimi anni comunque racconta di una fioritura di questo testo pochissimo rappresentato e che oggi con l’utilizzo delle tecnologie digitali sprona giovani attori e registi a commisurarvisi.
Un uomo, una donna, un sospetto, una trama che si straccia le vesti nell’incerto confine tra verità e finzione. Nel telegrafico spazio di un sogno-incubo, una giovane e affascinante donna soffre e sente l’affievolirsi del suo amore per l’attuale amante mentre riscopre la passione per un antico amore, tornato ricco dalla lontana Giava. Di mezzo il luccichio di una collana che per la vanesia femmina (o giovane signora, la definisce Pirandello) è un cadeau d’obbligo che strapazza i sogni (della signora) e le tasche dell’”uomo in frac” (così lo chiama il drammaturgo” e interpretato da Ivan Giambirtone).

La signora cede e concede le sue grazie
L'attrice e regista Vittoria Faro
L'uomo in frac e giovane signora
Rischi di soffocamento per la signora
Un primo piano di Vittoria Faro
Vittoria Faro e Ivan Giambirtone
Vittoria Faro

Un oggetto del desiderio che si rivelerà fatale alla fine dei 50 minuti attraversati da queste anime in pena, intrappolati e schiavi di un ruolo e di una maschera mentre una cameriera (Elisabetta Ventura) li serve gesticolante e snodabile come un manichino. Alla fine l’interprete Vittoria Faro, nel congedarsi dal pubblico grida un inopinato “viva le donne”, mentre a sentire e poi a leggere i dialoghi della commedia il “pover’uomo” appare il più umiliato ma più raziocinante fra tanta dèbosce smaccatamente onirica.
“Quando non si ama più l’inganno è inutile”- dice il malcapitato che aggiunge: “una pietà vera che non nasconda secondi fini può essere in chi la usa soltanto pietà non più amore. Pretenderlo è corrompere questa pietà”.
Risponde la sognatrice ”tante volte non si dice per pietà non perché manchi la franchezza che anzi farebbe molto comodo”. Ed è l’uomo in frak a liquidare d’imperio la faccenda: ”Non hai voluto indurmi a uno sdegno segreto per le tue troppe pretensioni ma a considerare piuttosto che eri fatta per un amante più ricco”.
Coi tempi che corrono qualcuno direbbe che la faccenda puzza di lana caprina e in definitiva quel grido “viva le donne” complica le cose anche se detto fuori commedia.
Comunque diamogliela per buona a Vittoria Faro, magari come “agevolazione di sceneggiatura”.