Agrigento

Cattolica, processo omicidio Miceli: sotto torchio il maresciallo Riggi

Importante udienza stamani in Corte d’Assise, nel processo a carico di Gaetano Sciortino, l’operaio di 53 anni accusato di aver ucciso il marmista Giuseppe Miceli, 67 anni (parte civile, l’avv. Di Caro) suo compaesano il 7 dicembre del 2015 per un movente ancora mai accertato.

Infattio è stato interrogato, per oltre quattro ore, il comandante della stazione carabinieri di Cattolica Eraclea, maresciallo Riggi, che ha dato un impulso determinante alle indagini sul delitto ed all’individuazione del preteso assassino.

Gli avvocati della difesa, Santo Lucia e Giovanna Morello, hanno più volte incalzato il sottufficiale evidenziando alcune discrepanze investigative.

Il processo è stato rinviato asl prossimo 11 gennaio quando saranno interrogati altri quattro importanti testimoni.

Le indagini sull’omicidio, durate oltre un anno e mezzo, hanno subito una decisiva accelerata grazie a due momenti ben precisi che hanno indirizzato i carabinieri sulla pista che ha portato all’arresto di Gaetano Sciortino: il ritrovamento di alcune punte di trapano – oggetti che posseggono un numero seriale grazie al quale si è risaliti al proprietario, ovvero la vittima – e che erano state occultate dai figli di Sciortino in aperta campagna – e le analisi dei Ris di Messina su una scarpa ritrovata in un’area rurale appartenente al Sciortino che – a seguito di un confronto con le impronte ritrovate sulla scena del crimine – non hanno lasciato alcun dubbio. Sono stati alcune “imperfezioni” proprio sull’impronta lasciata da Sciortino a rendere “unica” quella prova.

Fondamentale è stata anche la collaborazione di alcuni esercenti del paese che, immediatamente, hanno fornito le immagini delle telecamere di sicurezza: da qui è emerso che Sciortino, prima di uccidere l’artigiano, aveva pedinato per quasi tre ore quella che sarebbe stata la sua vittima che sarebbe stata letteralmente massacrata all’interno della sua bottega con corpi contundenti quali un piatto di marmo, un booster e due motorini per autoclave.

I legali di Sciortino, che ha sempre respinto ogni accusa, però, hanno affermato che “il luogo del delitto è stato contaminato da tracce organiche che non appartengono a Miceli ma addirittura a un familiare della vittima”.