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Mafia agrigentina, ecco cosa scriveva la Dia: la mappa dei mandamenti

La relazione della Dia sul fenomeno mafioso in provincia di Agrigento – secondo semestre 2014- mette in evidenza quanto Grandangolo nel corso di questi ultimi mesi ha posto all’attenzione dei suoi lettori. Il qualificato documento della Direzione nazionale investigativa antimafia sottoscrive quanto questo giornale in assoluta autonomia di valutazione aveva già messo ripetutamente in evidenza. Passa in secondo piano la costituzione dell’ottavo mandamento voluto da Leo Sutera e dai Ribisi, come ci ha illustrato l’operazione “Nuova cupola” e si passa ai sette mandamenti con la variante che a guidare la consorteria mafiosa c’è la famiglia di Giardina Gallotti. Ed infatti, scrive la Dia nella relazione annuale, secondo semestre, quanto segue: La mafia agrigentina ha dimostrato, nel tempo, un’elevata capacità di interazione con gli “elementi rilevanti ” del territorio, infiltrandosi nelle compagini sociali e mirando all’ingerenza nel sistema produttivo e in quello politico-amministrativo.
Uscita vincente dal conflitto con le organizzazioni stiddare, Cosa nostra, attualmente si presenta nei suoi profili essenziali come un’organizzazione unitaria e verticistica, fortemente radicata sul territorio, professionalizzata e in grado di aggredire nuovi settori del mercato.
Gli assetti delle locali consorterie, secondo quanto emerge dalle attività investigative, vivrebbero un’avanzata fase di ristrutturazione ed assestamento, verosimilmente condizionata dalla previsione delle prossime scarcerazioni di soggetti che in passato hanno avuto ruoli importanti nell’organizzazione. Sui nuovi equilibri, inoltre, potrebbe influire la forte presenza di figure già appartenenti ai sodalizi tradizionali, non esclusi quelli stiddari, e i rapporti con la limitrofa provincia trapanese e la rete di interessi e risorse gravitanti attorno al latitante Matteo Messina Denaro.
Cosa nostra agrigentina sarebbe al momento articolata in sette mandamenti, ciascuno composto da più famiglie, a capo delle quali (in funzione delle alleanze, delle scarcerazioni, ma anche dell’ascesa di elementi stiddari nelle gerarchie delle locali consorterie) si alternano soggetti carismatici in grado di esercitare un forte ascendente sulle decisioni strategiche del gruppo. Nella cartina qui pubblicata è riportata quella che al momento appare la più attendibile configurazione dei locali assetti mafiosi.
Cosa nostra agrigentina sarebbe articolata nei sottonotati mandamenti mafiosi: tre nell’area occidentale: Burgio, Cianciana. Santa Margherita Belice; tre nell’area orientale Giardina Gallotti Agrigento, Palma di Montechiaro, Campobello di Licata o Canicattì (data la presenza in entrambe le consorterie di soggetti particolarmente carismatici); un mandamento nell’area settentrionale: Bivona (stante lo stato di carcerazione dei componenti della famiglia Fragapane di Sant’Elisabetta, già sede di mandamento e di provincia mafiosa).
Le significative emigrazioni agrigentine verso altri Paesi delle Americhe e dell’Europa hanno, di fatto, portato alla costituzione, in territorio straniero, di vere e proprie colonie di compaesani, all’interno delle quali si sono prodotti aggregati delinquenziali aventi caratteristiche analoghe a quelle mafiose, divenuti poi punti di riferimento allorquando le attività criminali hanno assunto una connotazione di tipo transnazionale (ciò, soprattutto, per quanto attiene al traffico delle sostanze stupefacenti. Si può affermare che le consorterie mafiose della parte occidentale della provincia si sono nel tempo proiettate verso Paesi dell’America del Nord (U.S.A., Canada e, seppure in minima parte, verso Venezuela e Brasile), mentre quelle della parte orientale verso Paesi del Nord Europa (Germania, Belgio).
Le estorsioni costituiscono la principale forma d’intervento con cui i sodalizi agrigentini esercitano la pressione sul territorio e rappresentano ancora la tipologia delittuosa più ricorrente e redditizia. Gli esiti investigativi e processuali hanno, infatti, confermato che l’attività cardine delle cosche si sviluppa attraverso l’imposizione del “pizzo”, il condizionamento degli appalti pubblici e privati e dell’imprenditoria in genere, nonché in diversi settori dediti allo smaltimento dei rifiuti, alla fornitura di calcestruzzo e materiali inerti, all’edilizia ed alla grande distribuzione.
Le indagini hanno permesso, altresì, di dimostrarne l’eclettica capacità di trasformazione e d’ingerenza in qualsiasi settore dell’economia in cui si profili la possibilità di infiltrare redditizie fette di mercato, come l’illecita intromissione in molti segmenti dell’agroalimentare (agrumicolo, olivicolo, frutticolo, dell’allevamento di bestiame, ecc.) particolar­mente allettanti per le possibilità di accaparramento illecito di finanziamenti pubblici.
È noto, poi, come l’organizzazione mafiosa miri alla massimizzazione dei profitti investendo, tramite insospettabili prestanome, in attività apparentemente legali. Infatti, in più circostanze sono stati rilevati collegamenti tra imprese ed esponenti della criminalità organizzata locale, determinando l’adozione di provvedimenti interdittivi da parte della locale Prefettura.
Specialmente nell’ambito delle attività finalizzate all’infiltrazione nel settore degli appalti pubblici e dell’accaparramento di fondi pubblici, le consorterie mafiose utilizzano sempre più azioni di tipo corruttivo, sicuramente più silenti e verosimilmente più efficaci rispetto a quelle tradizionali di tipo intimidatorio.
Nel panorama delinquenziale della provincia, un ruolo abbastanza rilevante è rivestito dalla criminalità straniera, in particolare di origine rumena, tunisina, marocchina, egiziana e di altri Paesi del Nord Africa. Tali componenti criminali, anche in relazione al notevole incremento del fenomeno degli sbarchi di migranti clandestini dal Maghreb, sono cresciute ed hanno acquisito margini operativi qualitativamente elevati, anche in ragione di un’integrazione sempre maggiore nel tessuto socio-criminale in cui si radicano, ivi incluse le aree a tradizionale presenza mafiosa.
Il fenomeno è favorito dalla posizione geografica della Sicilia, e soprattutto, dell’isola di Lampedusa, avamposto privilegiato per l’approdo dei clandestini diretti in Italia e in Europa e gli enormi profitti che ne derivano inducono sempre più le consorterie criminali nord-africane a organizzare e gestire i flussi di migranti provenienti da quelle aree.