Agrigento

Malasanità: Ministero della Salute doppia condanna a maxi risarcimento

Doppia condanna del Ministero della Salute, ritenuto responsabile di omicidio colposo, a maxi risarcimento in favori degli eredi di due soggetti deceduti per trasfusioni di sangue infetto.

Una prima sentenza di condanna è stata emessa il 2 agosto dal Tribunale di Caltanissetta, in favore del coniuge di una donna di Enna che nel marzo del 1973 era stata ricoverata, in corso di gravidanza al 7° mese, presso l’Ospedale “Umberto I” di Enna, ove, per una complicanza,  veniva sottoposta a terapia trasfusionale con delle sacche di sangue rivelatesi infette dal Virus Hcv. La donna nel 2007 scopriva di essere positiva al Virus Hcv.

Dopo la diagnosi di epatite cronica Hcv, le condizioni di salute delle donna peggiorarono  fino alla diagnosi di cirrosi epatica ed epatocarcinoma, che nel 2016 ne hanno determinato il decesso.

Il marito, quindi, con l’assistenza degli avvocati agrigentini Angelo Farruggia, Annalisa Russello e Luca Dalù, ha intrapreso una causa civile contro il Ministero della Salute, ritenuto responsabile di non avere adeguatamente assolto il compito istituzionale di vigilare sulla raccolta e sulla distribuzione del sangue e degli emoderivati da destinare alle trasfusioni.

Il Ministero della Salute, assistito dall’Avvocatura di Stato, si è difeso sostenendo che in capo allo stesso non poteva riconoscersi alcuna colpa nella causazione del danno, in quanto all’epoca della trasfusione, effettuata nel 1973, il virus dell’Epatite C non era  stato ancora classificato; dunque, non essendo ancora conosciuto dalla comunità scientifica non sarebbe stato possibile prevenirne la diffusione.

Il Tribunale di Caltanissetta, accogliendo la diversa tesi sostenuta dai legali dei danneggiato, ha condannato il Ministero della Salute a risarcire al marito la somma di € 732.000,00.

Analogo l’epilogo di una parallela causa promossa dalle due figlie di un uomo di Trapani, anch’esso contagiato dal Virus dell’epatite C, in occasione di trasfusioni di sangue cui era stato sottoposto presso l’Ospedale “Civico” di Palermo, nel lontano 1985 e che, dopo la scoperta, avvenuta nel 1993, di essere stato contagiato dal virus, è deceduto nel 2006 per tumore al fegato.

In particolare, in primo grado, il Tribunale di Palermo, nel 2013, aveva liquidato alle due figlie un risarcimento complessivo di € 340.000,00.

Avverso la predetta sentenza, il Ministero della Salute, con l’Avvocatura di Stato, aveva proposto appello, sostenendo che nulla doveva agli eredi.

Le due figlie, entrambe di Trapani, con l’assistenza degli avvocati Angelo Farruggia, Annalisa Russello e John Licausi, non solo si sono difesi in appello, ma a loro volta hanno impugnato la sentenza del Tribunale, sostenendo che la liquidazione era troppo bassa.

Con sentenza del 03 agosto 2018, la Corte di Appello di Palermo, accogliendo la tesi sostenuta dall’avv. Angelo Farruggia, secondo cui il Tribunale aveva errato in sede di liquidazione del danno, in quanto non aveva applicato le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, ha aumentato il risarcimento da circa 340.000,00 fino a 788.000,00 mila euro.

Sottolinea il legale agrigentino, che il precedente emesso dalla Corte di Appello di Palermo, nella materia, assume particolare rilevanza nel panorama giurisprudenziale nazionale, poiché, in punto di prescrizione, ha affermato che: “ che qualora lo stesso fatto doloso o colposo determini, dopo un primo evento lesivo, ulteriori conseguenze pregiudizievoli, la prescrizione dell’azione risarcitoria, per il danno inerente a queste ultime, decorre dalla loro verificazione nel caso in cui le stesse non costituiscano un mero sviluppo ed aggravamento del danno già insorto, ma integrino nuove ed autonome lesioni”.

La Corte di Appello, quindi, condividendo la tesi dei legali, ha ritenuto che il successivo tumore al fegato non costituisse un mero sviluppo dell’epatite C, ma per la sua particolare gravità, una nuova lesione, con conseguente decorso di un nuovo termine prescrizionale.