Agrigento

Niente “Carro del sole” per la Medea di Branciaroli ad Agrigento

Un cardiogramma pazzo il cartellone 2017-18 del “Teatro Pirandello”.

Si era iniziato alla chetichella con i charleston della duchessa di Chicago, manageriale e protofemminista, seguita dalla scarmigliata pubblico ministero Filumena Marturano capafemminista ante litteram dove gli uomini finiscono per fare una figura miserevole.

Neanche il tempo di applaudire la Mariangela D’Abbraccio ed ecco precipitare sulla scena questa Medea uomo-donna di Branciaroli che l’attore ha ripreso dalla edizione di Ronconi regista   datata 1996-1997. Un durissimo colpo per gli spettatori agrigentini sempre poco disturbati da un cartellone  all’insegna del solito tran-tran.

La Medea di Ronconi, scomparso l’altro anno, ha avuto una lunga gestazione e fu lo stesso regista allora, se ricordiamo bene, a confessare di  volere uscire dalla gabbia stereotipata del “teatro nel teatro” e di quello che lui chiamava  il “ron-ron” pirandelliano. Conseguenziale a questa confessione è stata la rielaborazione, qualche anno prima della sua scomparsa, de  “I sei personaggi in cerca d’autore” che fortunosamente siamo riusciti a vedere sulla benemerita Rai5 che l’ha mandato in onda.

Ed ecco il Medea-uomo di Branciaroli nella piena immersione della” tragedia-tragedia”, senza vie di  scampo.

Nessun “carro del Sole” a portar via Medea nel buio della notte come accadde per l’ultima Medea vista nel 2004 al Teatro Greco di Siracusa, con il lungo braccio di una gru che sollevava in alto dentro il cerchio di un sole abbacinante la Maddalena Crippa diretta allora da Peter Stein.

Qui, nella regia ripresa da Daniele Salvo, Medea offre, senza pietà, allo spettatore-Giasone i suoi figli insanguinati e offre allo spettatore pubblico la sua “minaccia”, costante ed esibita tanto da travalicare i secoli con la sua storia di donna straniera amata e tradita che uccide i suoi figli, come una sorta di archetipo narrativo, come ineludibile ombra dell’anima umana, che verrà  ripresa nel corso del tempo, nell’opera lirica, nel dramma, nella pittura, fino al film Medea di Pasolini del 1969-70 e al romanzo di Christa Wolf del 1996.

A destra Franco Branciaroli
I figli di Medea
Interpreti di Medea occupano il proscenio
La commediante per rancore, Medea
L'ira di Giasone
L'uccisione
Medea Branciaroli e i figli uccisi
Medea conquista il Coro
Medea
Medea trageda e commediante
Scena da Medea
Scena iniziale della Medea
Ultimo abbraccio ai figli
Ultimo abbraccio
Una scena di insieme

L’errore imperdonabile di Medea – la sua colpa assoluta – è di esistere come donna solo attraverso la vendetta sui propri figli, cioè sul rifiuto rabbioso della maternità. la natura umana è qui raccontata in modo talmente intimo, esatto e dettagliato, da attrarre senza scampo l’uomo contemporaneo, curioso di trovare un senso alla propria personalità; inoltre, i protagonisti risultano, spesso sociotipi ancora presenti nelle civiltà odierne (Medea è l’archetipo di chi, in quanto straniero, viene stigmatizzato e relegato ai margini della società).

Se poi ci facciamo caso, questa Medea precipita sulla scena agrigentina in un momento in cui l’analisi societaria dell’Istat ci riflette in un contesto di “rancore sociale” che produce quei frutti velenosi che siamo costretti a fronteggiare nella quotidianità.

Finalmente ad Agrigento un trinomio che non si vedeva da anni e cioè ”un teatro di parola, di attore e di regia” messo insieme in maniera insperata e che dovrebbe far riflettere a lungo  lo spettatore. La messa in scena di una visione, profondamente laica, visione che spingeva Euripide a immaginare creature che hanno perso molti punti di riferimento, molte certezze e che vivono dell’incostanza dei sentimenti che agitano l’anima.

Gli altri interpreti sono Alfonso Veneroso, Antonio Zanoletti, Tommaso Cardarelli, Elena Polic Greco, Livio Remuzzi. Coro: Francesca Maria, Serena Mattace Raso, Odette Piscitelli, Alessandra Salamida, Elisabetta Scarano, Arianna Di Stefano, Raffaele e Matteo Bisegna. Scene di Francesco Calcagnini, costumi di Jacques Reynaud, luci di Sergio Rossi.

Testo e foto di Diego Romeo