Agrigento

Processo Icaro, depositate motivazioni sentenza di condanna, tra gli altri, di Messina, Pietro Campo e “Ninu u giardinisi”

Sono state depositate dal Gup del Tribunale di Palermo, Roberto Riggio, le motivazioni della sentenza del processo scaturito dall’operazione antimafia denominata Icaro

Duecentodieci pagine con le quali vengono dispiegate con cura le ragioni delle condanne e delle assoluzioni.

Nell’inchiesta, condotta dalla Squadra Mobile di Agrigento, guidata da Giovanni Minardi, in collaborazione con i colleghi di Palermo, sono coinvolte 34 persone, di cui 22 hanno scelto rito abbreviato appunto gli imputati odierni, che prevede, in caso di condanna, una pena ridotta di un terzo.

L’operazione Icaro, coordinata dalla Dda di Palermo, avrebbe, secondo gli investigatori, disarticolato un’organizzazione mafiosa operante in provincia di Agrigento.

Questo il dettaglio della sentenza con fra parentesi le richieste del Pm: 14 anni e 8 mesi in continuazione (20 anni) per Antonino Iacono inteso “Ninu u giardinisi”, 61 anni, residente nella frazione di Giardina Gallotti, 14 anni e 8 mesi (20 anni) per il capo della famiglia mafiosa di Porto Empedocle, Francesco Messina, 58 anni, zio del boss Gerlandino Messina; 10 anni (12 anni) per Rocco D’Aloisio, 46 anni, di Sambuca di Sicilia; e 8 anni e 8 mesi (9 anni) per Tommaso Baroncelli, 40 anni, di Santa Margherita Belice; assolto Domenico Bavetta, 34 anni di Montevago (9 anni); assoluzione (12 anni di reclusione) per Giuseppe Picillo, 53 anni, di Favara; 10 anni e 8 mesi (9 anni) per Mauro Capizzi, 47 anni, di Ribera, assoluzione (9 anni) per Gioacchino Iacono, 36 anni, di Realmonte, assoluzione (9 anni) Giuseppe Lo Pilato, 44 anni, di Giardina Gallotti; 14 anni complessivamente in continuazione per Pietro Campo, 65 anni, di Santa Margherita Belice (20 anni); assoluzione (8 anni di reclusione) per Giovanni Campo 25 anni; 10 anni (12 anni) per Francesco Capizzi inteso “il milanese”, 50 anni, di Porto Empedocle, 10 anni (12 anni) per Francesco Tarantino inteso “Paolo”, 29 anni, di Agrigento, residente a Porto Empedocle; 10 anni e 4 mesi (14 anni) per Giacomo La Sala, 47 anni, di Santa Margherita Belice; assoluzione (6 anni) per Piero Guzzardo, 37 anni, di Santa Margherita Belice; assoluzione (12 anni) per Gioacchino Cimino, 61 anni, di Agrigento residente a Porto Empedocle, 10 anni (12 anni) per Santo Interrante, 34 anni, di Santa Margherita Belice; assoluzione (8 anni) per Francesco Pavia, 35 anni, di Porto Empedocle; 3 anni e 4 mesi (6 anni) per Emanuele Riggio, 45 anni, di Monreale; assoluzione (3 anni e 4 mesi) per Domenico Cucina, 48 anni, di Lampedusa, assoluzione (otto anni) per Leonardo Marrella 38 anni di Montallegro e 10 anni (15 anni) per Diego Grassadonia, 54 anni, di Cianciana

Il Gup Roberto Riggio, tra le altre cose, scrive: “Come può ben evincersi dai numerosi atti, l’attività di indagine – denominata “Icaro” – si è sviluppata su una parte del territorio della Provincia di Agrigento ed ha avuto quale punto di partenza una attività di intercettazione e monitoraggio di tre soggetti (già condannati per aver fatto parte e diretto le locali famiglie mafiose) e cioè Pietro Campo, Antonino Iacono e Francesco Messina.

La attività di indagine si è concentrata nella individuazione dei vertici e degli appartenenti delle famiglie mafiose di Santa Margherita Belice, Montallegro, Agrigento e Porto Empedocle. Come sarà analizzato nel prosieguo, la continua attività di intercettazione, ha messo in luce sia la lotta per la guida della famiglia mafiosa di Montallegro, sia il possesso e la disponibilità di armi in capo a diversi imputati nonché la progettazione di richieste estorsive a carico di diversi imprenditori impegnati in lavori nel territorio di “competenza” delle singole famiglie mafiose.

Un primo filone di indagine si è sviluppato con riferimento alle famiglie mafiose della parte occidentale interna della provincia di Agrigento (Santa Margherita Belice, Montallegro, Cianciana ecc.) e alla figura dì

Pietro Campo, soggetto già condannato perché facente parte della famiglia mafiosa di Santa Margherita Belice. E’ emerso infatti come il Campo, scarcerato il 22.06.2005,- abbia avuto dei contatti con Leo Sutera, considerato il “capo-provincia” dì Agrigento, e poi dopo che questi è s t a to sottoposto a misura cautelare in carcere (e poi condannato nell’ambito del proc. Nuova Cupola), ne ha raccolto l’eredità per un breve periodo. Come si avrà modo di puntualizzare nel prosieguo è, infatti, emerso come lo stesso sia stato chiamato a dirimere la vicenda dì Montallegro (e cioè la disputa tra due cugini, Vincenzo Marrella (cl 55) e Stefano Marrella su chi dovesse stare a capo della locale famiglia mafiosa) a decidere altre questioni relative a vicende criminose ed ha intrattenuto rapporti con diversi soggetti appartenenti alla consorteria mafiosa sia della provincia di Agrigento che di altre provincie.

Un secondo filone di indagine è invece relativo al territorio di Agrigento-Porto Empedocle ed ha messo in evidenzia le figure di Antonino Iacono (‘Ninu u Giardinisi’) e Francesco Messina, soggetti già condannati in quanto appartenenti con posizioni di rilievo nell’ambito delle locali famiglie mafiose.

Sottoponendo entrambi ad attività di intercettazione è infatti emerso in maniera inequivocabile come gli stessi, dall’estate del 2012, pianificassero le estorsioni a carico dei vari imprenditori impegnati in lavori della zona, e come Iacono, oltre a esser a capo della famiglia mafiosa di Agrigento, a partire  dall’inizio dell’estate del 2013 sia stato chiamato a dirimere questioni esterne al suo territorio (tra le quali veniva anche interpellato nella vicenda Montallegro).

Se queste sono le figure centrali, nella presente indagine è emerso come gli altri imputati siano stati in contatto  ed abbiano ruotato attorno agli stessi: tuttavia mentre, come sarà analiticamente sviluppato, in relazione ad alcuni, in ragione delle condotte accertate, può, ad avviso del giudicante, ritenersi raggiunta la prova di quei facta concludentia dai quali può desumersi la appartenenza alla consorteria mafiosa, per altri, pur emersi dei contatti e dei vincoli familiari, può solo desumersi una posizione di “vicinanza” e / o contiguità non idonea a fondare un giudizio di responsabilità”.