Agrigento

Processo “Vultur”: ha testimoniato l’ex capo della Squadra mobile Empoli: difese passano all’attacco

E’ stata un’udienza complessa ed articolata, in cui non sono mancate le scintille tra accusa e difesa, quella che si è celebrata questa mattina – davanti al collegio di giudici presieduto da Luisa Turco (a latere i magistrati Vincenzo Ricotta e Rosanna Croce) – nell’ambito del processo scaturito dall’operazione “Vultur” e che vede imputati Rosario Meli, 69 anni, considerato dagli inquirenti il capo della famiglia mafiosa di Camastra, il figlio Vincenzo, 46 anni, Calogero Piombo, 65 anni, proprietario di una tabaccheria a Camastra e Calogero Di Caro, 70 anni, di Canicattì.

In oltre due ore di udienza è stato ascoltato, chiamato a testimoniare dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Maria Teresa Maligno, l’ex capo della Squadra mobile di Agrigento (dal gennaio 2012 al settembre 2014) Corrado Empoli, in servizio oggi a Bologna. Rispondendo alle domande delle parti l’ex numero uno della Squadra mobile agrigentina ha descritto diversi passaggi delle indagini sfociate poi nell’odierno procedimento: “Tutto nasce il 25 gennaio 2012 con il duplice omicidio Condello-Priolo, ritrovati sotto un canale da agenti del Commissariato di Palma di Montechiaro. Fortuna investigativa volle che Condello fosse intercettato per un presunto traffico di stupefacenti dalla Guardia di Finanza di Licata che ci mise a disposizione i tabulati telefonici da cui ricavammo molti dati. Da qui le nostre indagini si sono concentrate subito su Camastra ed in particolare su una famiglia del posto con cui Condello intratteneva rapporti mettendo tutti sotto intercettazione. Importante fu l’attività tecnica svolta con intercettazioni sia ambientali che telefoniche che fecero emergere come Condello di fatto si fosse impadronito del paese soppiantando i Meli nel racket. Diverse le estorsioni come quelle nei confronti dei titolari di una agenzia funebre (Forte e De Marco, parti civili nel processo) da cui pretendeva “regalie” a cadenza trimestrale. Ci concentrammo sui Meli visti i precedenti ma anche grazie a quanto emergeva dalle intercettazioni (in due episodi furono trovate altrettante pistole calibro 7.65). Consolidato un rapporto di fiducia con le vittime delle estorsioni (I Meli sono accusati di aver chiesto la metà degli incassi per ogni funerale dopo la morte di Condello) si dimostrarono subito collaborativi e ci diedero diverse informazioni”.

Su quest’ultimo aspetto le difese degli imputati – rappresentate dagli avvocati Giovanni Castronovo, Santo Lucia, Peppe Barba, Angela Porcello, Lillo Fiorello – hanno più volte chiesto all’ex capo della Squadra mobile di Agrigento del perché le oggi persone offese fossero state convocate in Questura nel maggio 2013 in relazione all’omicidio Condello e, soprattutto, sul perché si decise di piazzare cimici nell’anticamera della sala interrogatori della Questura prima che fossero sentiti in merito e nell’auto di De Marco: “Li abbiamo convocati come persone informate sui fatti e confermo l’episodio delle intercettazioni ambientali nella saletta in Questura. Anche l’auto di De Marco era oggetto di intercettazione e ricavammo spunti investigativi interessanti grazie ad alcune conversazioni genuine”.

E i difensori, soprattutto l’avvocato Angela Porcello, ha insistito perché venissero acquisite agli atti del processo le carte riguardanti una intercettazione che mostrava come Condello fosse l’amante della nipote di una delle parti offese e che queste ultime avessero frequentazioni discutibili.

Il diniego del Pm ha impedito l’acquisizione degli atti. Ma resta il dato di fatto.

Si ritornerà in aula, questa volta quella bunker del carcere Petrusa di Agrigento, il 28 marzo. In quella data sarà escusso l’ultimo teste presente nella lista del Pubblico ministero cioè il capo della squadra mobile di Agrigento, Giovanni Minardi.