Agrigento

Tragedia Maccalube, il Tribunale: “Laura e Carmelo potevano essere salvati” (vd)

Il Tribunale di Agrigento – giudice Giancarlo Caruso – ha depositato le motivazioni della sentenza di condanna (oltre 120 pagine) per Domenico Fontana, già presidente di Legambiente ed ex assessore all’ambiente del Comune di Agrigento e Daniele Gucciardo, operatore in servizio a Maccalube e di assoluzione per  Francesco Gendusa, dirigente responsabile delle aree protette (il fatto non costituisce reato). Fontana è stato condannato a sei anni, Gucciardo a 5 anni e 3 mesi ed entrambi interdetti in perpetuo dai pubblici uffici e di interdizione legale durante l’esecuzione della pena  oltre al pagamento delle spese processuali pari a 7.000 euro  e 600 mila euro di provvisionale per ognuna delle parti civili da liquidarsi immediatamente in concorso con Legambiente, comitato regionale Sicilia. Inoltre,  il giudice Caruso ha condannato Fontana, Gucciardo a risarcire il Codacons e i genitori dei due ragazzini morti per un importo da stabilire in sede civile.

Inoltre, ha respinto la richiesta di risarcimento del Comune di Aragona, Presidenza Regione siciliana, Giunta regionale e assessorato Territorio e ambiente così come ha respinto la richiesta di responsabilità civile di Legambiente avanzata da Giunta regionale e assessorato Territorio e ambiente.

Quelle vite si potevano salvare afferma perentorio il giudice tenuto conto che – ed era un campanello d’allarme – nel dicembre 2010 la protezione dell’area venne distrutta dal ribaltamento della terra: “Nonostante il segnale inequivocabile ricevuto dalla natura, che abbattè la struttura predisposta dal concessionario per tenere lontani i visitatori dall’area di sedime dei vulcanelli, non si ritenne né di arretrare il punto di osservazione al fine di preservare l’incolumità di quanti potevano sostare in prossimità della recinzione né, quantomeno, di ricostruire la struttura preesistente. Ed altri cinque erano stati i ribaltamenti negli anni dal 1998. Ad essere completamente inadeguato non era solo il sistema di asserita salvaguardia dell’ambiente naturale ma anche e soprattutto quello a garanzia dell’incolumità dei fruitori.  L’esistenza di una barriera, ancorché precaria, in grado di frapporre una distanza minima dalla sede dell’esplosione, avrebbe potuto esercitare un’incidenza rilevante, quantomeno in termini di mitigazione del rischio, sugli eventi verificatisi il 27 settembre 2014.

Durissimo il giudice Caruso verso gli imputati condannati: “L’affermazione, ripetuta alla stregua di un mantra consolatorio e sbandierata come un’improbabile difesa alle accuse contestate, secondo cui ciò che era accaduto il 27 settembre 2014 era assolutamente imprevedibile perché alle Macalube nessuno si era mai fatto del male, appare la palese estrinsecazione della superficialità con cui il tema della sicurezza delle persone era stato declinato nella concreta gestione da parte del personale della Riserva. Ripararsi sotto l’ombra della benevole sorte che aveva preservato l’indiscriminata comunità dei fruitori (fra cui, negli anni, decine di scolaresche), lungi dal rispondere alla possibile logica del caso fortuito in chiave di esclusione della responsabilità, costituisce un segnale chiaro ed inequivocabile dell’omissione di qualsivoglia forma di attenzione e tutela per l’incolumità delle persone che avevano frequentato quel sito”.

Fontana e Gucciardo, continua il giudice in sentenza: “Avevano il dovere di vigilanza su tutto quanto avveniva all’interno della riserva” ed era urgente e necessario un accertamento in merito alle condizioni di sicurezza per la fruizione dell’area che giustificava un blocco sine die delle visite finché non fossero stati elaborati livelli di esposizione al rischio compatibili con l’esigenza di salvaguardare vite umane”.

Il giudice Caruso spiega ancora, citando lo studio del Cnr del 1998 (che avvertiva di dover procedere a “monitoraggio e misurazioni continue” e che “l’assenza di una recinzione permette inoltre a tutti di avvicinarsi incautamente ai vulcanelli”) che: “a causa del repentino cambiamento del regime di emissione, potrebbero verificarsi manifestazioni che potrebbero mettere a rischio l’incolumità delle persone”.

Non esiste alcun dubbio – afferma il giudice monocratico – “non solo sulla pienezza del grado di responsabilità di Legambiente e della sua organizzazione di persone, ma anche sull’ingiustificabile inerzia da parte di un’amministrazione pubblica che è venuta meno ai suoi doveri nei confronti della comunità dei propri cittadini, del tutto ignari di essere esposti ad un rischio micidiale per la loro vita, per il solo fatto di essersi concessi un momento di mero svago all’interno di un luogo che, incolpevolmente, ritenevano protetto”.

Il resto delle motivazioni della sentenza è spietato: “con un sentimento di orgoglio che suona quasi grottesco alla luce di quanto accertato in dibattimento l’ente gestore si vantava di avere portato a visitare la Riserva nel corso degli anni, con dovizia di fotografie a documentare il successo di pubblico conseguito”.