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Mafia agrigentina, l’ascesa di Simone e Giuseppe Capizzi e i “pizzini” di Provenzano

Simone Capizzi, inteso ‘Peppe’ (detenuto dall’ottobre 1993), è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di mafia del Maresciallo dei Carabinieri Giuliano Guazzelli, di cui oggi ricorre il ventiquattresimo anniversario. “La sua ascesa mafiosa è coincisa con l’uccisione del boss riberese Carmelo Colletti, avvenuta nel luglio del 1983, a fronte della quale ha ottenuto l’affidamento della gestione mafiosa”, si legge in una nota, su ordine di Salvatore Riina e dei rappresentanti degli altri ”mandamenti” della provincia di Agrigento. Giuseppe Capizzi è stato, invece, tratto in arresto nel luglio del 2006, in esecuzione di un’ordinanza richiesta dalla Direzione Distrettuale Antimafia palermitana, poiché indagato, in concorso con altri, per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso. Per questi fatti la Corte d’Appello di Palermo lo ha condannato ad anni otto di reclusione. La stessa Corte d’Appello lo ha successivamente condannato a dieci anni di reclusione per il reato di estorsione aggravata. In questo contesto è stato, altresì, “ritenuto organico a Cosa nostra riberese della provincia agrigentina, con un ruolo di indubbio spessore, comprovato tra l’altro dagli stretti rapporti intrattenuti con l’ex latitante Giuseppe Falsone, già rappresentate provinciale di cosa nostra”.

Di rilievo, nel corso delle indagini, anche i cosiddetti pizzini sequestrati a Bernardo Provenzano ed a Antonino Giuffrè, poi divenuto collaboratore di giustizia, concernenti il conflitto sorto tra Giuseppe Capizzi e Giuseppe Grigili, imprenditore trapanese nel settore alimentare, considerato prestanome del latitante Matteo Messina Denaro – dicono gli inquirenti – In particolare, la questione era sorta in ordine ad un debito di Capizzi nei confronti di Grigoli per forniture alimentari al punto vendita Desapr di Ribera. Per questa diatriba i capi delle province mafiose di Agrigento e Trapani avevano investito il boss Bernardo Provenzano, attraverso una copiosa corrispondenza epistolare”. I provvedimenti di confisca, che riguardano complessivamente 10 terreni e tre fabbricati del valore complessivo stimato in oltre 800.000 euro, traggono origine dall’esito dalle indagini svolte dalla Sezione Operativa Dia di Agrigento, da cui è emerso che, nei primi anni ’90, alcuni soggetti, formali intestatari degli immobili, avevano venduto o promesso in vendita gli stessi alla famiglia Capizzi, tramite scritture private non registrate e senza formalizzare la compravendita, col fine di eludere eventuali provvedimenti ablativi.