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Auto in cambio di sentenze favorevoli: arrestati presidente Commissione tributaria, Virlinzi e altri tre (vd)

Da dx, il Sostituto procuratore Tiziana Laudani, il Procuratore Capo Michelangelo Patanè ed il comandante provinciale della Gdf Roberto Manna con il comandante della PT

Cinque persone arrestate, tra cui il presidente di sezione della Commissione tributaria provinciale Filippo Impallomeni e l’imprenditore Giuseppe Virlinzi.

E’ la conclusione di una complessa indagine coordinata dalla Procura si Catania e condotta dalla Guardia di Finanza etnea. Il provvedimento è stato emesso dal Gip del Tribunale di Catania. Il reato è contestato, in particolare, a quattro persone, mentre un quinto soggetto risponde di favoreggiamento aggravato.

E’ la concessionaria Ford di Catania, la Virauto, al centro dell’inchiesta che ha portato in carcere Giuseppe Virlinzi, fratello del più noto imprenditore Ennio. Nell’indagine della Guardia di finanza, culminata in cinque arresti per Corruzione in atti giudiziari, è emerso da intercettazioni telefoniche e ambientali che il presidente della Commissione tributaria etnea Filippo Impallomeni, aveva a propria disposizione auto della concessionaria e in cambio avrebbe dilazionato pagamenti di cartelle esattoriali. In manette sono finiti pure Giovanni La Rocca, consulente della Virauto, e Agatino Micalizzio, direttore commerciale della Virauto. I quattro rispondono di corruzione in atti giudiziari. Il quinto indagato, Antonino Toscano, è invece accusato di favoreggiamento aggravato. Il provvedimento restrittivo è stato firmato dal Gip Marina Rizza su richiesta del Pm Tiziana Laudani.

L’attività – svolta dal Gico del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Catania, nell’ambito di un’articolata indagine coordinata dalla Procura – ha fatto emergere ”l’esistenza di un consolidato accordo criminoso tra gli indagati, protrattosi nel tempo e volto ad assicurare sentenze favorevoli al gruppo imprenditoriale in relazione a ricorsi dallo stesso proposti innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Catania”.

Secondo l’accusa Impallomeni ”attraverso costanti contatti con il commercialista La Rocca e rivestendo sempre il ruolo di Presidente – relatore ed estensore delle relative sentenze -, provvedeva a redigere sentenze di accoglimento dei ricorsi presentati dalle società, garantendo in tal modo l’annullamento di accertamenti fiscali di rilevante ammontare. Di particolare rilievo una sentenza che, nel merito, è stata ritenuta del tutto illegittima in quanto basata su presupposti falsi, mentre in altri casi le sentenze di accoglimento dei ricorsi riconducibili al gruppo Virlinzi sono state emesse in tempi ristrettissimi”.

Gli inquirenti sostengono che in cambio il gruppo imprenditoriale metteva a disposizione del giudice diverse autovetture, per le quali la concessionaria della famiglia Virlinzi si accollava anche tutti i costi di manutenzione, assicurazione, e quelli di riparazione in caso di guasti e incidenti.

I particolari sull’operazione sono stati resi noti durante un incontro con i giornalisti nella sala conferenze della Procura della Repubblica di Catania che è attualmente in corso. Tutti avrebbero operato secondo l’Accusa per l’asservimento ai loro interessi della Giustizia Tributaria. L’accusa principale sarebbe di corruzione in atti giudiziari, con il giudice accusato di aver avuto quale beneficio l’uso indiscriminato di qualsiasi autovettura delle concessionarie in capo a Virlinzi da almeno 5 anni. La Guardia di Finanza ha verificato che nel caso dei ricorsi in cui era parte Pino Virlinzi, il giudice Impallomeni era sempre presidente, relatore o estensore e le sentenze, favorevoli, arrivavano sempre in tempi ristrettissimi rispetto al consueto.

Gli investigatori hanno inoltre, accertato che la concessionaria del gruppo Virlinzi al presidente Impallomeni metteva a disposizione autovetture diverse, a costo zero, assicurazione e manutenzione comprese e una persino destinata alla moglie del giudice.  Gli inquirenti hanno anche accertato che appresa notizia delle indagini in corso, gli indagati avrebbero addirittura tentato, con comportamento definito “gravissimo” dal sostituto Laudani, di modificare delle sentenze già emesse con la complicità del cancelliere Toscano che avrebbe tentato di sostituire documenti del tutto falsi grazie ai quali a Virlinzi era stato riconosciuto persino un rimborso di 80.000 euro.Affermano il Procuratore della Repubblica Michelangelo Patanè e il titolare delle indagini Tiziana Laudani: “Particolarmente significativo è stato il tentativo posto in essere dal giudice, con la complicità del cancelliere Toscano, di recuperare da un ufficio della Commissione Tributaria una sentenza favorevole emessa e depositata nel luglio 2015 sempre nei confronti di una società del gruppo Virlinzi. L’intenzione era quella di sostituire alla sentenza di accoglimento del ricorso presentato dalla società una sentenza di condanna al fine di “smontare” l’eventuale impianto accusatorio, posto che l’acquisizione di diverse sentenze riconducibili anche al gruppo Virlinzi presso la commissione Provinciale da parte della Guardia di Finanza aveva ingenerato allarme nello stesso. Tale tentativo, tuttavia, non è andato a buon fine poiché la decisione era già stata depositata e registrata e pertanto i predetti si vedevano costretti a desistere dall’ulteriore azione criminosa”.

Gli altri tre arrestati, Giovanni La Rocca, Agostino Micalizzio e Antonino Toscano

La Guardia di finanza sostiene che non esistono titoli giustificativi dell’uso delle auto delle società legate a Virlinzi da parte del giudice. ”Nonostante ciò – dice la Gdf – su una delle due autovetture intestate alla concessionaria il giudice Impallomeni aveva anche apposto un adesivo riportante lo stemma magistratura tributaria. La stessa concessionaria è stata utilizzata dal giudice anche per riparare l’autovettura della moglie, con spese, anche in questo caso, a carico del gruppo”.

Per gli inquirenti ”nel corso delle indagini, dopo alcune acquisizioni documentali nella commissione tributaria, sono stati accertati anche gravi condotte volte a depistare le indagini da parte del giudice”.