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Campi, serre e droga: la criminalità organizzata torna ad investire sulla produzione degli stupefacenti nell’agrigentino?

L’operazione Home made messa a segno dai carabinieri della compagnia di Licata, coordinata del sostituto procuratore della Repubblica Simona Faga, che ha disarticolato un sodalizio ben organizzato di produttori di marijuana, si inserisce in un contesto ben più ampio di lotta al traffico di stupefacenti nell’agrigentino che ha fatto registrare, nel solo territorio di Licata, il sequestro di oltre 4 tonnellate di “erba” negli ultimi sei mesi e lascia spazio a qualche interrogativo. 

Prendendo in analisi i tre ultimi, in ordine di tempo, blitz effettuati dalle forze dell’ordine in materia di contrasto alla produzione e traffico di stupefacenti emergono alcune curiose caratteristiche comuni: vasti appezzamenti di terra, distese di serre rivestite da plastiche opacizzate, ingenti quantitativi di sostanza stupefacente (in questo caso marijuana): chili e chili di erba.

Infine, l’ultima analogia: in manette finiscono  sempre e soltanto braccianti agricoli proprietari dei suddetti terreni o gestori di fatto: è successo nel maggio scorso lungo la SS 115 quando i carabinieri di Licata sequestrarono 600 kg di marijuana occultati in tre serre e nelle disponibilità di un agricoltore di 23 anni; è accaduto il 4 settembre, a Torre di Gaffe, e anche lì finirono in manette zio e nipote – entrambi lavoratori della terra – che avevano in disponibilità 244 kg di piante di cannabis; dieci giorni dopo e a pochi chilometri di distanza, in contrada Rosa Maria, la polizia addirittura sequestrò quasi tre tonnellate di marijuana da un appezzamento di terra in disponibilità di un 38enne incensurato che – al momento dell’arresto – dichiarò che la coltivazione di queste piante rendevano molto di più dei pomodori.

E questo è indubbiamente un dato di fatto.

Quello che, invece, appare quantomeno inverosimile è come dei braccianti agricoli, dei lavoratori della terra, possano produrre, dettare prezzi e vendere così grossi quantitativi di erba da immettere nelle piazze di spaccio della provincia di Agrigento e non soltanto, arrivando anche a sconfinare nelle province di Messina e Catania (come emerso nell’operazione Home made). Ma non soltanto.

Appare ancora più improbabile che i lavoratori delle terre svestano i panni di agricoltori tramutandosi in broker della droga attraverso una serie di canali e giuste relazioni tali da poter piazzare un così ingente quantitativo di sostanza stupefacente. Senza peraltro far i conti con la criminalità organizzata che – di questo traffico – ne rivendica  e ne ha il controllo.  Più realista l’ipotesi – e su questo gli inquirenti lavorano instancabilmente per capire chi realmente si nasconde dietro il business del traffico di stupefacenti – che vede i braccianti agricoli quali veri e propri campieri, coloro i quali cedono magari dietro compenso e lavorano le distese di terra su cui insistono le serre di marijuana.

Potrebbe essere questa una nuova/vecchia forma di approvvigionamento per la criminalità organizzata che vede nella produzione e nel traffico di droga – in realtà sempre un po’ tenuta ai margini dagli affari delle consorterie mafiose agrigentine – una ulteriore fonte di “entrate”?

E’ questa la nuova forma di business per sopperire alle sempre più rischiose condotte estorsive nei confronti delle sempre più coraggiose persone che, rispetto al passato,  trovano pian piano la forza e la determinazione di denunciare?

La cosa certa è che bisogna scavare ancora più a fondo e scoprire chi realmente gestisce una così grossa fetta del mercato illecito della produzione e del traffico degli stupefacenti.