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Il maresciallo Guazzellì assassinato: un segnale ai Ros che accelerò la “Trattativa Stato – mafia”

Entra mani e piedi nell’inchiesta e nella sentenza del processo “Trattativa Stato – mafia” l’omicidio del maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli.

Nelle oltre 5500 pagine di motivazioni un capitolo specifico al delitto spiega le ragioni del massacro. E riscrive un’altra storia ad oggi non nota.

Il maresciallo Giuliano Guazzelli  è stato assassinato il 4 aprile 1992 e, dopo iniziali incertezze che avevano indirizzato le indagini ed un conseguente processo nei confronti di soggetti riconducibili alla c.d. “stidda“, è stato definitivamente accertata, con sentenze passate in cosa giudicata, la piena riconducibilità di tale omicidio all’organizzazione mafiosa “Cosa nostra” specificamente nella sua articolazione operante nel territorio di Agrigento ove è avvenuto l’agguato mortale.

In questa sede è sufficiente prendere atto di tale risultanza già definitivamente accertata, senza necessità di ricostruire più dettagliatamente il fatto omicidiario. E’ utile, invece, ricostruire  la figura del maresciallo Guazzelli, i suoi rapporti con i colleghi e l’attività che egli nel periodo immediatamente antecedente alla sua uccisione stava conducendo.

A tal fine è stato, innanzitutto, esaminato nel dibattimento il figlio del maresciallo Guazzelli, Riccardo. E’  opportuno,  tuttavia,  qui,  dare  conto  di  tale  importante deposizione.

Riccardo Guazzelli, figlio del “Mastino”

Riccardo Guazzelli è stato esaminato in qualità di testimone all’udienza del 13 febbraio 2014 ed ha, innanzitutto,  riferito,  appunto, di essere figlio del  maresciallo Giuliano Guazzelli, ucciso in data 4 aprile 1992 (”Mio padre  è stato ucciso il 4 aprile del 92 sul Viadotto Morandi, che è una bretella di uscita da Agrigento verso Porto Empedocle e poi di ricollegamento sulla SS115 …. … …Mio padre era un sottufficiale dei carabinieri che al momento dell’uccisione faceva servizio presso il Nucleo di Polizia Giudiziaria presso il Tribunale di Agrigento”), del quale, quindi, ha ricostruito la carriera e gli incarichi ricoperti nell’Arma dei Carabinieri (”Mio padre si arruolò nell’Arma dei Carabinieri giovanissimo , a 17 anni, e quasi subito venne in Sicilia e… ……. Toscana, della provincia di Lucca, e praticamente venne in Sicilia e ha fatto tutta la carriera in Sicilia. Lui inizialmente si arruolò come Carabiniere semplice poi, dopo alcuni anni, il concorso per sottufficiale e da che fece la scuola sottufficiali. Fatta la scuola sottufficiali, se non ricordo male, la prima assegnazione fu il Battaglione a Palermo e poi varie stazione dei Carabinieri. Poi iniziò, se non ricordo male, inizio anni 70, fu applicato qua a Palermo al Nucleo Investigativo, dove fece servizio fino alla morte del Colonnello Russo. Dopo di che, fu trasferito ad Agrigento, applicato alla Stazione Carabinieri di Palma di Montechiaro, poi ritornò al Nucleo investigativo ad Agrigento, dove fece servizio fino al momento in cui poi fu trasferito presso, diciamo, l’aliquota di P.G. presso la Procura di Agrigento stesso”), soffermandosi, poi, specificamente su alcuni dei servizi svolti, tra i quali, quello presso la Stazione o la Compagnia dei Carabinieri di Castelvetrano ove ebbe a collaborare, tra gli altri, con l’allora Ten. Subranni (“..ha prestato servizio a Castelvetrano … … …Penso che sia stato subito dopo la, diciamo… Fine anni 60,fine anni 60… … …non ricordo se era la stazione o la compagnia …. … …Penso che ci siano stati più ufficiali, perché c’è stato per alcuni anni, ricordo, l’allora Tenente o Capitano Noto, il Tenente Subranni, poi Capitano, non so se ci sia stato pure quello che poi sarebbe diventato il Colonnello Russo, questo sinceramente non me lo ricordo”).

Il teste, quindi, a quel punto, ha manifestato di non ricordare più alcune circostanze  di  fatto già oggetto di  dichiarazioni  dallo stesso rese nell’ambito delle indagini per l’omicidio del padre ed in alcuni processa net quali successivamente è stato chiamato a testimoniare e, tuttavia, a fronte delle contestazioni formulate dal P.M. anche per sollecitarne la memoria,  il medesimo, pur ribadendo di non avere più ricordo di quei fatti, ha sempre confermato il contenuto delle dichiarazioni precedentemente rese di cui gli è stata data lettura.

La  prima  di  tali  circostanze  di  fatto confermate  seppur soltanto dopo la contestazione  del  P.M.  riguarda  la  collaborazione  che il padre ebbe con Subranni  anche dopo il servizio a Castelvetrano  allorché ebbe a trasferirsi  a Palermo alle dipendenze del col. Russo. Il teste, poi, ha riferito che dopo l’omicidio del col. Russo il padre venne trasferito alla Stazione dei Carabinieri di Palma di Montechiaro (“All’esito dell’omicidio del colonnello Russo, lui rimase, per motivi suppongo di sicurezza, in aspettativa per un po’ di tempo. Dopo di che ho detto che è stato trasferito alla Stazione dei Carabinieri di Palma di Montechiaro”) e che poco prima  dell’uccisione  nell’aprile  1992 il padre, prossimo ad andare  in pensione avendo maturato una anzianità di quaranta anni di servizio, era stato contattato da personale dei servizi segreti (”Aveva fatto  quaranta anni effettivi di servizio ed era, diciamo, da un punto di vista pensionistico, pronto a potere andare in pensione, ma era uno che non mollava, voglio dire, avrebbe voluto continuare ancora …. … ….Ma io ricordo che lui aveva avuto dei contatti con i Servizi, ricordo  questo particolare diciamo  di persone che  vennero  da  Roma  per contattarlo,  per vedere  se  c’era,  insomma,  la  sua  disponibilità a potere transitare là. Non so da un punto di vista, diciamo, operativo, se era possibile, però”). 

Antonio Subranni
Il colonnello Russo

Nel  prosieguo  della deposizione  il teste ha affrontato  il tema  dei rapporti  del padre con il maresciallo Scibilia che da ultimo aveva prestato  servizio al R.O.S. di Messina.

Anche il tema dei rapporti tra il maresciallo Guazzelli e il gen. Subranni è stato ulteriormente approfondito su sollecitazione del P.M. ed, in particolare, il teste ha precisato che si trattava di rapporti anche familiari e di amicizia.

Orbene, dalla predetta deposizione, per quanto caratterizzata da una scarsa volontà collaborativa, poiché il teste ha sostanzialmente sempre atteso le contestazioni da parte del P.M. delle dichiarazioni precedentemente rese per poi confermarle (anche quelle ben più recenti in cui aveva manifestato di ricordare i fatti remoti degli anni 1991-1992), si ricava, per quel che rileva ai fini della ricostruzione degli accadimenti prospettata dalla Accusa che sarà valutata nel prosieguo, che:

l) il maresciallo Guazzelli, sino al giorno della sua uccisione, ha avuto intensi rapporti di collaborazione – oltre che di amicizia – con il gen. Subranni anche al di là delle proprie formali attribuzioni funzionali;

2) il maresciallo Guazzelli ha intrattenuto anche rapporti con l’on. Mannino, incontrandolo più volte e, in particolare, da ultimo qualche mese prima dell’omicidio dell’on. Lima e subito dopo il medesimo omicidio  (quindi, nel mese di marzo 1992), raccogliendo, in entrambi i casi, i timori espressamente manifestati dal Mannino per la propria vita;

3) il maresciallo Guazzelli, qualche giorno prima di essere ucciso (il 4 aprile 1992), ha incontrato il gen. Subranni (sul punto, contestato dalla difesa degli imputati Subranni e Mori all’udienza del 2 marzo 2018 sulla base della tesi che il fatto che Guazzelli sia stato prelevato all’aeroporto con l’autovettura e dall’autista di Subranni non proverebbe il successivo incontro, non sembra necessario aggiungere alcunché, avuto riguardo alla chiara testimonianza di Riccardo Guazzelli, persino sullo spostamento della partenza del padre proprio per consentire quell’incontro, del tutto trascurata dalla difesa medesima).

Altri elementi utili alla ricostruzione dei fatti si ricavano, altresì, dalle dichiarazioni del teste gen. Giuseppe Tavormina, il quale ha confermato, sia pure dopo una contestazione, di avere anch’egli incontrato il maresciallo Guazzelli pochi giorni prima che questi venisse ucciso. E’ da evidenziare, dunque, la singolare coincidenza che il maresciallo Guazzelli, che ben conosceva Mannino e dal quale, peraltro, aveva già  raccolto  le esternazioni sul pericolo che riteneva su di lui incombente sia prima che dopo l’omicidio Lima, abbia poi incontrato pochi giorni prima di morire entrambi i generali dell’Arma, Tavormina e Subranni, cui lo stesso Mannino si era rivolto per le medesime preoccupazioni esternate al Guazzelli.

Il generale Tavormina

Ed è stato lo stesso teste Tavormina, pur non avendone un ricordo, a non escludere che nell’incontro avuto con Guazzelli si sia parlato di Mannino.

Conclusioni sull’omicidio del maresciallo Guazzelli

Anche in questo caso non vi sono sicuri elementi per  affermare che il maresciallo Guazzelli sia stato ucciso da “Cosa nostra” nell’ambito della strategia delineata dai vertici di questa tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992 ovvero anche soltanto come segnale lanciato da “Cosa nostra” all’on. Mannino ed ai Carabinieri cui il predetto si era già rivolto per tutelare la propria persona dall’incombente vendetta della medesima associazione mafiosa.

Calogero Mannino

Certamente non possono, invero, escludersi causali più direttamente collegate alle attività che il maresciallo Guazzelli stava portando avanti nella provincia di Agrigento e, dunque, appare del tutto superfluo ricostruire tutte le vicende in qualche modo collegate ai procedimenti concernenti l’on. Mannino instaurati presso le Procure di Sciacca e Agrigento sui quali, invece, si è molto dilungata la difesa degli imputati Subranni e Mori insistendo anche per l’ulteriore acquisizioni di documenti che la Corte già nel corso dell’istruttoria dibattimentale ha ritenuto – e continua ora a ritenere – superflui.

Ma non può essere dubbio che l’uccisione del maresciallo Guazzelli, avvenuta nel contesto di tutti quei rapporti tra Mannino da un lato e Subranni, Tavormina e lo stesso Guazzelli dall’altro in relazione ai timori per la propria vita manifestati dal primo e, peraltro, temporalmente pressoché in coincidenza con gli incontri avuti da quest’ultimo sia col gen. Tavormina che col gen. Subranni, possa avere accresciuto nello stesso gen. Subranni la sensibilità verso i temi della sicurezza di persone a lui in qualche modo e a vario titolo vicine e possa, quindi, averlo  indotto ad assumere,  sollecitare o avallare quell’iniziativa  dei suoi subordinati Mori e De Donno finalizzata ad instaurare una interlocuzione con i vertici mafiosi.

Mario Mori
Giuseppe De Donno

Una  conferma,  ancorché  non  necessaria,  di tale  conclusione,  che,  seppure  di carattere logico-deduttivo, si fonda su dati di fatto accertati e su una valutazione complessiva degli stessi, si trae anche da una annotazione rinvenuta sulle agende del col. Riccio a proposito di una confidenza che il collega Sinico ebbe a fargli. Delle  dichiarazioni  del  col.  Riccio può  già  qui   anticiparsi, in  sintesi,  sia  che  ovviamente  per l’utilizzazione   delle  dette  dichiarazioni nella  parte  relativa  alle  confidenze raccolte dal  Sinico non  sussistono ostacoli  di  sorta, sia che in questo caso le dichiarazioni intervengono a supporto di una risultanza documentale autonomamente acquisita ancorché proveniente dallo stesso Riccio.

Il col. Michele Riccio

Ci riferisce ad una annotazione rinvenuta in una agenda sotto la data del 13 febbraio 1996 relativa alla confidenza fattagli da Sinico riguardo alla paura suscitata  nel  gen.  Subranni  dall’omicidio  Guazzelli in  quanto “vicino” a Mannino (“Pm Di Matteo: Senta, facciamo un attimo un passo indietro. Cortesemente, prenda l’agenda alla data del 13 febbraio del 1996… 13 febbraio 96, Roma, lavoro in ufficio … Sinico confermato.. Subranni. Confermato, Subranni aveva paura  della morte di Guazzelli, maresciallo vicino Mannino; Dich. Riccio: A Mannino … … …Si, c’è una A piccolina…  … …De Donno fu fatto rientrare di corsa dalla Sicilia. E poi faccio una  mia  considerazione, faccio trattino,  Guazzelli, fu un avvertimento per (fuori microfono) Mannino e soci?… … …Si, o “e soci” o ”solo soci da Mannino” … … …allora, il discorso nasce prima di questa annotazione e come in altre volte mi accadeva di fare, con Ilardo affronto diciamo la questione Guazzelli  perché ne  riporto  l’articolo  sui  quotidiani  di  quel  tempo,  che parlavano appunto della morte di Guazzelli, che si diceva, se non ricordo male, ammazzato dalla Stidda. E sollecito Ilardo a parlare e Ilardo mi fa  una faccia contrariata dicendo… E mi  fa capire in  maniera abbastanza diciamo, abbastanza chiara che i fatti  non erano in quel modo. Cioè, mi fa  capire che l’omicidio non era nato  perché avevano timore di Guazzelli  come un sottufficiale che operasse fattivamente Cosa Nostra, ma che rappresentasse altri aspetti. E  poi disse…  Ovviamente  rimandò  ad  altri  momenti,  diciamo, di approfondire  questa, diciamo, questa vicenda. E successivamente  a questo incontro, trovandomi al Ros perché facevo  lì servizio e lavorando in ufficio, quella mattina chi incontrai con Sinico, eravamo nell’ufficio di Sinico, che era un ufficio con altri colleghi, c’erano anche degli altri colleghi, ho portato  il discorso su Guazzelli per capire… Perché volevo capire quello che mi aveva fatto  intendere, se c’era effettivamente qualcosa, come era il pensiero loro su quello che era, diciamo che riguardava Guazzelli, perché io non lo conoscevo assolutamente. E Sinico che mi dice che quando avviene la morte di Guazzelli, il generale Subranni si è spaventato moltissimo, mi è spaventato moltissimo, tanto è vero che hanno fatto rientrare di corsa dalla Sicilia De Donno perché avevano paura che anche a De Donno poteva  succedergli qualcosa. E io me lo sono annotato proprio perché c’era stato il discorso giorni prima con Ilardo. E allora ho fatto le mie considerazioni, siccome lui mi aveva detto, come ho scritto poi nelle relazioni e anche che Mannino era strettamente controllato dalla famiglia di Agrigento, il discorso aveva, con questi fatti, per  me  una connotazione diversa,  e  che poi ovviamente  in sede  di  collaborazione avrebbe  dovuto spiegarmi …  ….Confermato  che  Subranni  aveva  paura della morte di Guazze/li, che era un maresciallo vicino a Mannino, questo me l’ha detto il capitano Sinico … Certo, del Ros. E in più mi dice che in quell’occasione, alla notizia della morte di Guazzelli, fecero rientrare di corsa De Donno dalla Sicilia perché avevano paura che anche a De Danno potesse succedere, fare la stessa fine  di  Guazzelli, punto … Poi  io faccio  la considerazione …  ricollegandomi a quello che in precedenza mi aveva detto Ilardo e che mi era servito per sollecitare il discorso di Sinico; Pm   Di Matteo: Ma Mannino… Perché lei fa riferimento, se pure lei ha detto come deduzione, avvertimento solo a Mannino o a Mannino e soci? A chi fa riferimento?; Dich. Riccio: Al Ros …Che erano… Che Mannino era in contatto con il Ros, era in relazioni con il Ros, quello che ho dichiarato …Sinico sicuramente me ne dà conferma, adesso così non ne ho ricordo; Pm Di Matteo:  Lei è stato sentito proprio su questo appunto il 22 novembre del 2012 … E ha detto, pagina 2: va bè, i fatti annotati si riferiscono effettivamente ad una conversazione con il capitano Sinico. Presi l’argomento dell’omicidio Guazzelli perché qualche tempo prima aveva formato oggetto della mia interlocuzione con Ilardo, scaturiti, come tante altre volte, dalla pubblicazione su un quotidiano locale, eccetera, eccetera. In sostanza Ilardo mi chiari che l’omicidio Guazzelli era una cosa molto più grave di quella che poteva  apparire  e mi rappresentò che successivamente  ne avrebbe parlato  più  diffusamente… A quell’epoca Ilardo mi aveva già parlato del fatto che l’onorevole Mannino era nelle mani di Cosa nostra, cosi come successivamente scrissi nel rapporto Grande Oriente…Sulla base di questi spunti fornitimi da Ilardo, il 13 febbraio provocai la discussione con Sinico, che mi disse le cose che ho annotato, e cioè che quando venne ucciso Guazzelli, il generale Subranni, evidentemente intimorito, aveva fatto urgentemente rientrare dalla Sicilia il capitano De Donno. E lo ha riferito. Nella stessa conversazione, Sinico mi riferì, come ho annotato, dello stretto rapporto tra il Guazzelli e l’onorevole Mannino e mi confermò quanto già avevo sentito nell’ambiente del Ros in merito al fatto che il Mannino fosse molto vicino agli stessi Ros; Dich. Riccio: Esatto, l’ho detto adesso; …… Pm Di Matteo: Riesce a ricordare prima di Sinico, chi e in che termini all’interno del Ros riferì dello stretto rapporto tra Mannino e gli stessi Ros?; Dich. Riccio:  Questi erano discorsi generici, come per dire che tante volte si parlava di confidenti, mi si diceva: il generale Subranni ha come confidenti Ciancimino padre o Badalamenti e il colonnello Mori io c’ho, come si chiama, quello che c’ha le corse automobilistiche che si è costituito … Siino. Ecco, erano discorsi che si avveniva quando si parlava … Dire diciamo adesso chi l’ha detto non me lo ricordo … Sì, perché si parlava, perché io tornato dalla Sicilia, mi fermavo … Perché non sapevo… Mi fermavo negli uffici del Ros con i colleghi e si parlava delle esperienze, di quello che stavamo facendo in quel momento, venivano naturali fuori questi discorsi ….; Pm Di Matteo: Comunque Sinico…; Dich.  Riccio: Mi ha colpito quel fatto e l’ho segnato perché  abbiamo avuto quel discorso prima  io e come si chiama, e Ilardo, e allora Ilardo mi parla  di Mannino, infatti io l’ho messo anche nella relazione e l’ho messo anche nel rapporto…  e in quell’istante mi spiega anche  il ruolo della Stidda, perché dice tante volte noi, per  non chiedere l’autorizzazione a Cosa nostra per fare una azione, usavano strumentalmente altri ambienti, tipo Stidda, per cui noi nascondevamo la nostra attività dietro la manipolazione di un interesse della Stidda … Pm Di Matteo: Aspetti, aspetti, poi ci dirà l’esempio, ma sul punto specifico. Stesso verbale del 22 novembre 2012, allora, dunque: nella stessa conversazione Sinico mi riferì, come ho annotato, dello stretto rapporto tra il Guazzelli e l’onorevole Mannino e mi confermò quanto già avevo sentito nell’ambiente del Ros in merito al fatto che il Mannino fosse  molto vicino agli stessi Ros. Adr:  quanto al rapporto Guazzelli    Mannino, certamente me ne riferì anche llardo.  Fu invece personalmente il  colonnello  Mori  a parlarmi  per  primo dei  rapporti  di conoscenza diretta tra Vito Ciancimino e il generale Subranni. Ciò avvenne nel momento in cui stava costituendosi il Ros e si discuteva di come affrontare le indagini sulle famiglie mafiose siciliane. In quel frangente Mori mi disse del pregresso rapporto Ciancimino – Subranni, senza specificarmi altro. Quindi qua lei è stato netto nel dire che fu  Mori a parlarle del rapporto Ciancimino – Subranni; Dich Riccio: Sì, molto probabilmente si… Mi sembra anche lui direttamente mi parlò della sua conoscenza con Sinico, con Siino, perché a me in un accertamento che feci a Bagheria, mi viene fuori questo personaggio e lui mi disse sì, io l’ho conosciuto, anzi mi ha fatto anche da confidente … Pm Di Matteo:  E ricorda che tra gli altri lo stesso Mori le parlò di questo rapporto diretto Ciancimino – Subranni?; Dich. Riccio: – Sicuramente, se l’ho detto sì, allora avevo un ricordo ancora più preciso, comunque io con loro parlavo, non è che parlassi con altre persone, i miei interlocutori del Ros erano loro”).

Per completezza, va, altresì, evidenziato che la difesa di Subranni e Mori ha fortemente contestato la contestualità di quelle annotazioni sotto la data del 13 febbraio 1996 (anche in sede di discussione, esibendo alla Corte, ali ‘udienza del 2 marzo  2018, la copia della relativa  pagina  dell’agenda per evidenziare  il carattere più minuto della scrittura rispetto a precedenti e successive annotazioni, nonché richiamando l’interpretazione contenuta in altra sentenza) e che, però, il col. Riccio, sul punto, ha fornito spiegazioni di cui non può negarsi la plausibilità.  (“Non è che ho integrato… …L’ho scritto nello  stesso giorno, nello stesso momento, ho scritto diciamo il… E infatti l’ho messo diciamo… Sono partito dal centro perché sicuramente il discorso con il Capitano Sinico e gli altri colleghi è avvenuto nella mattinata, perché sennò l’avrei scritto tutto sotto. E allora io sono partito come spazio temporale, per ricordarmelo, in quell’arco di tempo, e poi dopo ho messo la freccia perché non c’era più spazio e ho continuato sotto”) tenuto conto che le annotazioni precedenti con grafia più ampia sono relative ad impegni programmati e, dunque, ragionevolmente possono farsi risalire anche al giorno precedente rispetto a quella relativa all’occasionale colloquio di quel giorno con Sinico che ben potrebbe essere stato, poi, inserito la sera così come riferito da Riccio, dopo che durante il giorno erano state già scritte altre più semplici annotazioni più di routine.

A ciò si aggiunga che, nell’ipotesi di una postuma falsa integrazione dell’agenda, non si comprenderebbe neppure perché non sia stata operata da Riccio in una pagina nella quale vi era tutto lo spazio necessario per inserire l ‘annotazione con l’usuale grafia più ampia, così che, anzi, proprio la più minuta grafia resa necessaria da quel limitato spazio e la sua prosecuzione con una freccia appaiono rendere genuina l’annotazione medesima nei tempi indicati da Riccio (la sera dello stesso giorno) e con modalità che non sono certo inusuali per chiunque utilizzi agende per appuntare ricordi personali non  destinati  a lettura di terzi (d’altra parte, per analoghe modalità di annotazioni , basti esaminare l’agenda, acquisita agli atti, di Bruno Contrada, in particolare alla pagina del 29 settembre 1992 nella quale ad una prima annotazione segue quella relativa a “Pranzo da Scotto” a sua volta seguita dalla prosecuzione della prima annotazione con una freccia di collegamento, ovvero la pagina del successivo 18 dicembre 1992 nella quale vi sono ugualmente un’annotazione ed un successivo commento non consecutivi ma legati da una freccia).

Certo, va anche detto che il teste Sinico, citato dalla difesa degli imputati Subranni, Mori e De Donno, ha smentito di avere avuto quel colloquio oggetto dell’annotazione  di Riccio  (”Avv. Milio: …lei ha mai parlato con il colonnello Riccio dell’omicidio del Maresciallo Guazzelli, avvenuto il 4 aprile 92 in provincia di Agrigento, diciamo?; Dich. Sinico: No”), ma tale generica negazione, a prescindere dai rapporti di fedeltà (che non è un termine offensivo, come ritenuto, invece, dalla difesa di Subranni e Mori in sede di discussione all’udienza del 2 marzo 2018, che, poi, ha anche ironizzato ricorrendo al paragone del cane, se è vero che la fedeltà è addirittura richiamata nel motto  dell’Arma  dei  Carabinieri sin  dall’inizio  del  secolo  scorso)  e riconoscenza che legano il teste all’imputato Mori, tanto che quest’ultimo ebbe a chiamare il Sinico presso di sé al Sisde (“Pm Di Matteo: – … Le volevo chiedere se è vero, e mi può confermare che lei, dopo che il Prefetto Mori venne designato quale direttore del Sisde, passò anche lei al Servizio segreto civile e se questo è avvenuto attraverso una proposta diretta di Mori, formulata contestualmente a lei e al suo collega, all’epoca credo maggiore o tenente colonnello Ierfone; Dich. Sinico: Si”), appare poco credibile alla luce della precisione di quell’annotazione (non comprendendosi, peraltro, per quale ragione Riccio avrebbe dovuto falsificarla o anche soltanto attribuirla al Sinico piuttosto che direttamente a Subranni o Mori) e della coerenza della stessa con l’intero contesto delle risultanze concernenti Mannino e l’omicidio del maresciallo Guazzelli di cui si è detto.

In conclusione, dunque, può ragionevolmente ritenersi che anche tale omicidio si pone come antecedente logico-fattuale dell’iniziativa che di lì a poco Subranni, unitamente a Mori, avrebbe deciso di intraprendere per tentare un contatto diretto con i vertici dell’associazione mafiosa nelle persone dei suoi capi assoluti Salvatore Riina e Bernardo Provenzano.