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Mafia, colpo all’impero dell’imprenditore racalmutese Lillo Romano: sequestro da 120 mln euro (vd e ft)

Dieci aziende di cui due ditte individuali e otto società, decine di automezzi; 16 rapporti bancari e 119 immobili tra terreni e abitazioni: è questo il tesoro dell’imprenditore di Racalmuto, Calogero Lillo Romano, per un valore di 120 milioni di euro, sequestrato questa mattina dai finanzieri del Nucleo Polizia Economico-Finanziaria di Palermo, in esecuzione di un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Agrigento, su proposta della Procura della Repubblica di Palermo.

Una scalata imprenditoriale, quella di Lillo Romano, che comincia nei primi anni novanta nel suo paese di origine, Racalmuto: dalle piccole imprese che operavano nel settore dell’edilizia fino al grande salto in quello delle telecomunicazioni di cui era diventato il leader nella Sicilia occidentale. Racalmuto, oltre ad essere la terra di Leonardo Sciascia, in quegli anni era anche la terra di Maurizio Di Gati, l’ex barbiere che divenne capo indiscusso della mafia agrigentina e oggi collaboratore di giustizia, o di Ignazio Gagliardo, anche lui oggi pentito. Sono proprio loro, attraverso alcune dichiarazioni, a ricostruire i movimenti sospetti di Calogero Romano le cui aziende – secondo le fiamme gialle – si ampliavano sempre di più grazie al contributo di Cosa Nostra.

Contributo che continua anche dopo l’arresto e la collaborazione con la giustizia di Maurizio Di Gati che, nel frattempo, viene spodestato alla guida della mafia agrigentina da Giuseppe Falsone, boss di Campobello di Licata: con il consenso di quest’ultimo – scrivono i finanzieri – Calogero Romano avrebbe fornito il calcestruzzo per la costruzione del centro commerciale “Le Vigne” di Canicattì oltre al sistematico ricorso a sovrafatturazioni delle forniture di calcestruzzo, al fine di precostituirsi ”fondi neri” necessari al sostentamento della famiglia mafiosa di Canicattì”.

“A conclusione degli accertamenti economico-patrimoniali svolti dal Gico di Palermo, è stata – in definitiva – dimostrata una ingente sperequazione fra redditi leciti, patrimoni accumulati ed investimenti effettuati da Calogero Romano – dice la Finanza – sulla base della quale è stata applicata la misura patrimoniale del sequestro finalizzato alla confisca.