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Mafia, il mandamento della “Montagna”: smantellato prima ancora di dettare legge e violenza

La Direzione distrettuale antimafia di Palermo – con in testa il procuratore aggiunto Paolo Guido ed i sostituti Geri Ferrara, Claudio Camilleri e Alessia Sinatra – ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti di 59 persone tutte coinvolte nella maxi operazione antimafia, eseguita dai carabinieri del Comando provinciale di Agrigento lo scorso 22 gennaio, denominata Montagna.
Il Gup del Tribunale di Palermo Marco Gaeta ha fissato l’udienza preliminare in camera di consiglio il prossimo 5 novembre alle ore 9.30 presso l’aula bunker del carcere “Ucciardone” di Palermo. Tra le 59 persone destinatarie di richiesta di rinvio a giudizio – con le ipotesi di reato che vanno da associazione mafiosa, estorsione, tentata estorsione e traffico di stupefacenti – compare anche il nuovo “pentito” Giuseppe Quaranta che ha deciso di collaborare con l’autorità giudiziaria sette giorni dopo il suo arresto.
In manette, insieme a Quaranta, è finito anche l’ex sindaco di San Biagio Platani Santo Sabella che attualmente si trova in regime di carcere duro (41 bis) insieme a Giuseppe Nugara, considerato il boss del paese, e Francesco Fragapane, ritenuto il vertice del mandamento.
L’operazione Montagna che è stata a lungo al centro di “colpi di scena” giudiziari con un “braccio di ferro” tra magistrati sfociato nella raffica di provvedimenti da parte del Riesame che ha scarcerato oltre la metà degli arrestati. Dieci fra loro, tutti rimessi in libertà nel febbraio scorso, sono stati ri-arrestati in un secondo blitz scattato a fine giugno.

Un colpo durissimo quello assestato dai carabinieri del Reparto operativo di Agrigento alla nuova mafia agrigentina.
Una maxi operazione condotta – si potrebbe dire – alla vecchia maniera: da un lato mostrando i muscoli, il che spiega l’applicazione delle cinquantasei misure cautelari, e che fanno dell’operazione “Montagna” una delle più importanti dopo “Nuova cupola” del 2012, dall’altro lato con una vera e propria attività di “intelligence” che ha permesso ai carabinieri, prima guidatati dal tenente colonnello Andrea Azzolini e oggi dal tenente colonnello Rodrigo Micucci (che ha curato la fase dell’esecuzione) di fotografare i “sussulti” rivoluzionari di Cosa nostra.

E questa radiografia ha consegnato agli occhi degli inquirenti un quadro tanto nuovo quanto chiaro: un nuovo assetto geografico ma anche un rinnovamento nei meccanismi interni: si assiste – rispetto al passato – ad un graduale spostamento delle logiche di potere dal “mare” alla “montagna” con un chiaro ruolo di egemonia della consorteria di Santa Elisabetta. Storicamente, negli ultimi cinque lustri, la più forte, quella che dava del tu a Totò Riina e nascondeva, da latitante, Matteo Messina Denaro.
Quest’ultima avrebbe assorbito all’interno del proprio mandamento – oltre i già noti paesi di Raffadali, Aragona, S. Angelo Muxaro e San Biagio Platani – anche quello che un tempo veniva chiamato il mandamento di Santo Stefano di Quisquina, facendo quindi rientrare sotto l’influenza di Santa Elisabetta anche i paesi montani di Santo Stefano di Quisquina appunto, Bivona, Alessandria della Rocca, Cammarata e San Giovanni Gemini.

E’ nato così il nuovo “Mandamento della Montagna”.

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