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Operazione «Cerberus», business calcestruzzo: arrestati boss e imprenditori (ft e vd)

La Polizia di Enna ha arrestato Carmelo Bruno, 59 anni; Giuseppe Di Venti, 50 anni e Antonio Giuseppe Falzone, 59 anni. accusate di concorso esterno in associazione mafiosa.

Si tratta del seguito dell’operazione “Goodfellas” (giugno 2017), diretta dalla Procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. In particolare, nell’ambito di quest’ultima indagine gli inquirenti sono risaliti all’attuale rappresentante di una famiglia di “Cosa nostra” dell’ennese, nonchè alcuni imprenditori legati storicamente all’organizzazione mafiosa ennese operanti nel settore delle forniture di calcestruzzo.

Carmelo Bruno  risulta indagato quale componente – sin dagli anni ’90 – e successivamente quale principale esponente della famiglia mafiosa di Calascibetta (Enna), con l’aggravante di aver avuto disponibilità di armi, nonchè di aver finanziato le attività economiche assunte o controllate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto e il profitto dei delitti commessi. Il secondo ed il terzo risultano indagati per concorso esterno perchè, nello stesso arco temporale, quali imprenditori titolari di un impianto per la produzione di calcestruzzo, concorrevano all’attività delle famiglie di “Cosa nostra” operanti in provincia di Enna, mettendo a loro disposizione la loro qualità di imprenditori per favorire l’attività dell’organizzazione informandola dello svolgimento di lavori edili sul territorio, sostenendola economicamente e facendo da intermediari tra “Cosa nostra” e le ditte che eseguivano lavori edili pubblici e privati.

Il tutto in cambio del sostegno mafioso per il conseguimento di forniture di calcestruzzo a danno di altre ditte o comunque senza doversi attenere a parametri concorrenziali.

L’operazione odierna denominata “Cerberus” costituisce il proseguimento dell’operazione “Goodfellas” (giugno 2017).

In particolare, nell’ambito di quest’ultima indagine gli organi inquirenti approfondivano tutti gli elementi indiziari a carico di Carmelo Bruno, attuale rappresentante di fatto della famiglia di “Cosa nostra” di Calascibetta – una delle cinque famiglie tradizionali in provincia di Enna – e di due imprenditori cognati e soci, gli odierni arrestati Giuseppe Di Venti, 50 anni e Antonio Giuseppe Falzone, titolari di un impianto per la produzione di calcestruzzo, strettamente legati a Carmelo Bruno e inizialmente anche al boss Gaetano Leonardo alias “Tanu u Liuni”.

Sulla figura del Carmelo Bruno convergevano diversi elementi, in particolare sullo stesso aveva riferito anche un collaboratore di giustizia, il quale raccontava che successivamente all’investitura di Giovanni Fiorenza per la gestione della famiglia mafiosa di Leonforte (En), quest’ultimo aveva preteso da un soggetto di Calascibetta, la restituzione di una “tangente” precedentemente riscossa in danno di un imprenditore del posto. Detta circostanza veniva confermata tra l’altro dagli esiti dell’indagine “Homo novus”, poiché nel corso dell’attività di video sorveglianza esterna all’autolavaggio gestito proprio dal Fiorenza, si notava giungere un furgone dal quale scendeva proprio Carmelo Bruno, il quale si intratteneva nell’attività commerciale per alcuni minuti.

Un altro soggetto intraneo all’organizzazione criminale di “Cosa nostra” della provincia indicava che Carmelo Bruno era referente per Calascibetta, sottordinato al referente provinciale Salvatore Seminara. Proprio Carmelo Bruno, in una occasione era stato convocato insieme all’imprenditore Giuseppe Di Venti davanti al boss Seminara che richiamava il Di Venti per non aver rispettato degli accordi relativamente ad una fornitura di calcestruzzo.

Ancora un altro collaboratore riferiva di avere incontrato Carmelo Bruno insieme ad Antonio Giuseppe Falzone presso il vecchio boss Giovanni Mattiolo nel 1997 per chiarire una “questione”, ossia l’esenzione di Giuseppe Di Venti e del suo socio dal pagamenti delle estorsioni che in quel periodo venivano riscosse dal duo aidonese Mililli e Minacapilli, sotto il controllo del Mattiolo. I

Bruno veniva indicato già all’epoca come appartenente alla famiglia di “Cosa nostra” di Calascibetta, per conto della quale si era recato dal Mattiolo. Infatti, la piccola famiglia di Calascibetta avevo il suo principale centro di interessi nella riscossione del “pizzo” dalle imprese che si recavano nel proprio territorio e pertanto il Bruno ebbe a lamentarsi del fatto che un imprenditore si era recato a Calascibetta ad effettuare lavori senza informarlo.

Altro elemento a carico di Carmelo Bruno emergeva dall’attività di indagine che registrava i commenti in seguito all’omicidio di Signorino Marcellino e Alexandru Matei. Il duplice omicidio, infatti, appariva un’azione punitiva nei confronti del Signorino Marcellino, reo di commettere troppi furti di bestiame. Proprio per tale ragione, un soggetto vicino a quest’ultimo, timoroso di subire la stessa ritorsione pensava di rivolgersi al Bruno, come capo della famiglia di Calascibetta, per scongiurare che anche lui potesse subire analoga sorte.

Nel seguito delle conversazioni emergeva un altro verosimile movente dell’omicidio citato, ovvero una controversia sulla compravendita di terreni, ed anche in questo caso emergeva il coinvolgimento del Bruno.

Dalle diverse conversazioni intercettate, appariva che  Bruno negli ambienti malavitosi fosse considerato come colui capace di controllare tutto ciò di lecito o illecito che si verificava nel territorio di competenza della “famiglia” mafiosa.

Altro tassello al quadro indiziante veniva ricavato dalle dichiarazioni rese da un imprenditore il quale riferiva agli inquirenti di fatti accaduti a Calascibetta, dove stava eseguendo dei lavori di fornitura di calcestruzzo. Dalla attività di indagine svolta in proposito ancora una volta emergeva che il referente mafioso del territorio di Calascibetta era proprio Carmelo Bruno e che lo stesso voleva incontrarlo proprio per far valere il potere di “Cosa nostra” nel controllo del territorio con riguardo alle forniture ed alle attività economiche ivi presenti, con la prospettiva eventualmente di sottomettere l’imprenditore al pagamento della classica “messa a posto”, anche in previsione di lavori più importanti che dovevano essere eseguiti a Calascibetta.

In altre conversazioni intercettate, Carmelo Bruno manifestava la volontà di interessarsi ai nuovi lavori che dovevano essere avviati nel territorio xibetano, al fine di costringere alla “messa a posto” l’impresa appaltante. In altre si evinceva, invece, l’interferenza del Bruno sull’attività amministrativa del comune di Calascibetta, quanto meno in termini di “vicinanza” ed “amicizia”.

Giuseppe Di Venti e Antonio Giuseppe Falzone sono due imprenditori operanti nel settore del calcestruzzo, i quali, secondo le risultanze investigative, sin dalla fine degli anni ’90, hanno messo a disposizione di “Cosa nostra” la loro attività imprenditoriale, inizialmente nell’ambito della famiglia di Enna facente capo a Gaetano Leonardo e successivamente hanno avuto quale referente diretto Carmelo Bruno e quindi i soggetti a quest’ultimo gerarchicamente sovraordinati, specificamente Salvatore Seminara.

I due indagati risultano essere in società sin dalla metà degli anni ’90 – sotto varie denominazioni commerciali per ultimo “Nuova Beton s.r.l.” – per la produzione di calcestruzzo e specificamente per la gestione di un impianto sito ad Enna in C.da “Baronessa”. Infatti, dalle più recenti acquisizioni probatorie risulta che i due indagati hanno avuto l’appoggio dell’organizzazione mafiosa ennese, organizzata e diretta dal Seminara, per assicurarsi le forniture nel settore nell’ambito territoriale prossimo alla città di Enna, ferma restando l’esigenza di adeguarsi alle direttive mafiose, ripartendo o se necessario lasciando ad altre imprese una parte dei lavori a seconda dell’area territoriale interessata.

L’origine dal rapporto sinallagmatico tra gli imprenditori Giuseppe Di Venti e Antonio Giuseppe Falzone e “Cosa Nostra” è stato ricostruito grazie all’apporto di numerosi collaboratori di giustizia di acclarata attendibilità.

Secondo quanto dichiarato da un collaboratore, l’impresa Falzone & Di Venti fu costituita con l’appoggio economico della famiglia di Enna, specificatamente con l’aiuto economico di Antonino Timpanaro, uomo di fiducia di Gaetano Leonardo. Inizialmente l’attività fu sottoposta al regolare pagamento del pizzo da parte di Mililli e Minacapilli che riscuotevano per conto di tutte le famiglie. Tuttavia con l’intercessione di alcuni uomini d’onore, a un certo punto l’impresa Falzone & Di Venti venne esentata dal pagamento delle estorsioni. Intorno alla prima metà del 2000, la ditta di un imprenditore venne fatta oggetto di “attenzioni” in occasione di un lavoro che stava effettuando a Grottacalda, tra i comuni di Piazza Armerina (En) e Valguarnera Caropepe (En). In tale occasione Di Venti intervenne presso Giovanni Monachino, già allora uno degli uomini di maggior prestigio mafioso in provincia di Enna, ottenendo che la ditta in argomento non venisse più disturbata; tuttavia Di Venti aveva lasciato intendere al predetto imprenditore che alla fine dei lavori avrebbe dovuto lasciare un piccolo “regalo” a Pietraperzia (En), in particolare precisava che lo avrebbe potuto fare in occasione dell’incontro con Monachino per corrispondergli quanto dovuto relativamente ai lavori svolti dal Di Venti a Enna Bassa, nell’edificio adibito poi a sede della Polizia stradale e di una parte degli Uffici della Questura. Negli anni successivi al 2000 Di Venti dovette rapportarsi anche con Domenico Calcagno.

Un altro collaboratore raccontava che l’imprenditore Giuseppe Di Venti, negli anni ’90, pagava la somma di duemila lire a Gaetano Leonardo per ogni metro cubo di calcestruzzo prodotto e che lo stesso imprenditore si rivolgeva a Leonardo per avere assegnate delle forniture. Di contro la “famiglia” di Enna si preoccupava di ripartire loro le forniture, indirizzandone sistematicamente l’attività e assicurando loro, nel contempo, la possibilità di ottenere forniture e lavori al di fuori delle logiche meramente commerciali, in cambio di un sostegno economico. Ancora dalle varie collaborazioni, emergeva che Salvatore Cutrona, longa manus del noto boss Salvatore Seminara, nel territorio ennese tra il 2013 e il 2015, ammoniva gli altri imprenditori a non effettuare forniture di calcestruzzo in territorio di Enna, essendo tale area riservata alla ditta Di Venti & Falzone.

Gli ulteriori riscontri degli investigatori confermavano che anche nel territorio di Calascibetta dove svolgeva le funzioni di rappresentante della “famiglia” l’odierno arrestato Carmelo Bruno, “Cosa nostra” assicurava l’egemonia economica della ditta Di Venti & Falzone; tanto più che anche quel territorio, così come quello del comune di Enna, negli anni tra l’agosto 2013 e l’aprile 2016, è stato sottoposto alla supervisione del boss Salvatore Seminara. Nel corso della perquisizione è stata rinvenuta e sequestrata un’ingente somma di denaro in contanti, ammontante a diverse decine di migliaia di euro, nonché decine di assegni di rilevante importo, a carico di uno degli imprenditori, ed inoltre sono state ritirate amministrativamente diverse armi da sparo e munizioni.