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Ecco perché è stata assolta Anna Messina: “Non mafiosa ma favoreggiatrice del fratello Gerlandino”

Anna Messina, 39 anni, di Porto Empedocle, sorella del boss ergastolano Gerlandino Messina, come è noto, è stata definitivamente assolta dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. 

Lo hanno stabilito i giudici della Corte di Appello di Palermo nel procedimento “bis” scaturito dalla decisione della Corte di Cassazione di annullare la precedente sentenza con rinvio della stessa Corte di Appello che l’aveva condannata a 5 anni. Dunque, Anna Messina è tornata definitivamente libera, scagionata dai giudici della Suprema Corte che hanno accolto le tesi dell’avv. Salvatore Pennica, difensore dell’empedoclina.

In realtà Anna Messina era stata già liberata dopo la decisione della Cassazione e dopo aver scontato 2 anni e 6 mesi di reclusione perchè secondo le accuse avrebbe fatto da “postina” al fratello quando questi era latitante, accuse del tutto cadute dopo la sentenza di appello  quando è arrivata l’assoluzione.

Scrivono i giudici d’appello (Roberto Murgia, Vittorio Anania, Renato Zichittella) motivando la sentenza: Reputa il Collegio che, nella valutazione di stretta competenza che compete in questo giudizio di rinvio, secondo le precise direttrici fissate dalla Suprema Corte, si imponga  una sentenza di assoluzione (sebbene ai sensi del secondo comma dell’art. 530 c.p.p.), avendosi conferma certa soltanto di una condotta qualificabile come  ”favoreggiamento personale” che, tuttavia, non è punibile poiché il fatto è stato commesso in favore di un “prossimo congiunto”. quale è il fratello dell’imputata Gerlandino Messina.

Gerlandino Messina
Gerlandino Messina

E’ bene rammentare che la colpevolezza dell’imputata., per il contestato reato dì concorso esterno in associazione mafiosa, è stata affermata in primo grado (con pronuncia sul punto confermata nella sentenza di appello oggetto di annullamento) su due emergenze essenziali.

La prima, rappresentata dalla lettera, redatta dì pugno dell’imputata (per come accertato con consulenza grafologica e per come infine ammesso dalla stessa Messina nelle sue dichiarazioni spontanee) da essa indirizzata al fratello Gerlandino ed oggetto di sequestro eseguito il 23 ottobre 2010 nel covo dì Favara, ove il predetto capomafia Messina Gerlandino trascorreva la  sua latitanza (complessivamente durata circa 10 anni).

L’importanza  di questa  missiva risiede nel fatto che, nell’ambito di saluti e dì informazioni aventi un carattere strettamente familiare (“Mio adorato fratellone mi auguro che come sempre questo mio scritto venga a trovarti bene per come posso dirti di me … “ questo l’incipit della lettera), scambiati da questi due fratelli, che evidentemente mantenevano contatti (anche diretti: “mio adorato poi tante altre cose ne parliamo di presenza’”) nonostante la latitanza. di Gerlandino, è contenuto  il seguente capoverso:  “Mio adorato  ieri mi sono  vista con il GS (ndr. oppure  “45”) si è stranizzato che non c’era posta per lui, perché   mi diceva che aspettava  una risposta  da te, non so vedi tu ”.

Precisato che secondo l’impostazione accusatoria, seguita nelle due sentenze di merito fin qui succedutesi, l’utilizzo di un’indicazione cifrata, uguale quella di “GS’‘ (oppure di “45’), per indicare questo soggetto, dovrebbe far propendere circa il fatto che l’imputata avesse contatti con soggetti mafiosi o, comunque, assai vicini al contesto mafioso, con i quali scambia messaggi nell’interesse del fratello capomafia/latitante, questo primo dato probatorio veniva legato all’altro, egualmente essenziale sebbene cronologicamente anticipato nel tempo (di circa 5 anni), rappresentato dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Di Gati Maurizio.

Più esattamente quest’ultimo (la cui attendibilità intrinseca non è stata neppure contestata in linea difensiva) ha riferito che, nell’arco temporale, compreso tra il 1999 e la fine del 2005, in cui aveva trascorso la sua latitanza unitamente a Gerlandino Messina, proprio quest’ultimo gli aveva confidato che la propria sorella (cioè l’odierna imputata) gli “gestiva la latitanza“, nel senso che gli mandava i “pizzini” e gli faceva vedere la moglie accompagnandola con la sua macchina nel luogo segreto in cui il predetto  Gerlandino si nascondeva.

Orbene, tenendo sempre presenti le stringenti direttive contenute nella sentenza rescindente dalla Suprema Corte, laddove si è anzitutto chiarito che, per identificare la colpevolezza non è tanto necessario stabilire se l’imputata abbia svolto in modo isolato o in modo abituale il ruolo di “postina” con il fratello latitante, quanto, piuttosto verificare criticamente se le informazioni redatte sulle missive, presuntivamente scambiate. contenessero dati inerenti le attività illecite interessanti l’organizzazione criminale, sì deve al riguardo precisare che supporti probatori risultano obiettivamente labili ed incerti.

Invero al di là delle indicazioni già adeguatamente valorizzate nella sentenza dì primo grado (ma lo stesso può dirsi per quella di appello, oggetto di annullamento) nulla di più emerge a carico della Messina.

Di questo dato ne è stato consapevole anzitutto il giudice di prime cure che, non a caso, a pagina 52 della sentenza così argomentava:  “Quanto poi  alla circostanza  che non sono emersi, all’esito delle attività investigative svolte, contatti tra la stessa Messina Anna e appartenenti a Cosa Nostra o comunque riconducibili al sodalizio mafioso, nonché ulteriori  elementi  a carico aldilà della sopra citata lettera rinvenuta e sequestrata nel covo del  latitante Messina Gerlandino al momento del suo arresto, si osserva che essa non può considerarsi tale da escludere la penale  responsabilità, sostanzialmente ancorando il giudizio di colpevolezza sulle uniche due risultanze probatorie sopradette: sequestro della  missiva e dichiarazioni del  Di Gati.

Né si può  a tal fine seguire quell’indicazione ermeneutica perorata dal Procuratore  Generale che, nelle  sue  conclusioni  da  ultimo  formulate  in  udienza,  ha  valorizzato   il  fatto  che  nella  parte terminale  della  missiva,  catalogata  come  “GS“,  sarebbe  individuabile  un  inciso  dal  quale  poter trarre  la  conferma  che l’imputata  teneva e gestiva  denari  del  proprio  fratello  riconducibili  ad interessi  mafiosi,  dal  momento  che  questo  capoverso,  che così  testualmente  recita “P.S. Mio adorato di quei soldi ho prestato 200 euro alla bionda xchè non aveva niente in frigo e doveva prendere  dei libri a Giuseppe …”, in effetti sembra attenere a  questioni strettamente ed esclusivamente  familiari per  come,  del  resto, è già stato interpretato dagli inquirenti  ed  anche dal giudice di prime cure che, non a caso, non hanno valorizzato  minimamente tale dato.

Senza dire che, a prescindere  dell’esiguità  della somma prelevata  (appunto 200 euro),  l’imputata ha  fornito  un’interpretazione  di  questo passaggio del  suo scritto, in  specie affermando  che i soldi in questione erano quelli relativi al denaro accantonato per la lapide del padre dei fratelli Messina (argomento diffusamente trattato nello scritto) e che la quota di 200 euro era stata prestata alla cognata Inglima Concetta, moglie dell’altro fratello Messina Salvatore, che  in  quel  momento versava  in gravi difficoltà economiche.

Ma al fine di adempiere all’incombenza valutativa che compete in questo giudizio di  rinvio,  nel quale secondo la Cassazione si deve verificare persino il contenuto dei “pizzini” che secondo il Di Gati l’imputata avrebbe scambiato (”… è necessario accertare quale sia il contenuto delle informazioni medesime  e quali siano i ruoli dei soggetti che tali informazioni abbiano scambiato”) occorre muovere da una più approfondita valutazione delle prove a carico.

Quanto  alle  dichiarazioni  appunto  del  collaboratore  Maurizio Di Gati, occorre precisare  che quest’ultimo ha chiaramente (e correttamente) dichiarato di sapere ben poco sul conto di Anna Messina sorella di Gerlandino, da lui non conosciuta di persona (“io personalmente non la conosco“) e della quale aveva sentito  parlare  dal  suo  “compagno  di  latitanza“:  “Però  il Gerlandino Messina  mi aveva detto che la sorella,  in quel periodo  della sua latitanza, lavorava in una  impresa come segretaria, ufficialmente spuntava, ma  … per  quanto riguarda  l’impresa era di … Messina Gerlando, ma l’ho sempre dichiarato  …”.

Precisato che i riscontri su queste dichiarazioni hanno avuto esito positivo, sia in riferimento al lavoro svolto dalla Messina sia in ordine alla sostanziale riconducibilità ad interessi mafiosi della citata impresa edile (formalmente intestata a Tuttolomondo Alfonso), che è stata anche oggetto di sequestro, in merito a più specifiche indicazioni sul conto della Messina il collaboratore è stato particolarmente “prudente” nelle sue dichiarazioni.

Considerato che il Di Gati in questo passaggio del suo interrogatorio ha ripetuto più volte di non aver conosciuto personalmente l’imputata e di nulla più sapere sul suo conto, appare a dir poco arduo poter  affermare  che,  in  base  a  queste  stringate  informazioni,  si  possa  evincere  che l’imputata  svolgesse  un  ruolo  di  “postina”  per  scambiare  messaggi  dì  rilevo  strategico  per l’organizzazione criminale al fine di tenere informato il latitante sulle dinamiche e sugli affari di “Cosa Nostra” sul territorio di “sua competenza”.

Di certo questa Corte non ignora l’importanza che i “pizzini” assumono nella strategia comunicativa segreta dell’organizzazione mafiosa, trattandosi di messaggi scritti che, passando di mano in mano di fidati soggetti, consentono a capi mafia e gregari di mantenere una capillare comunicazione che non lascia tracce e, per questo, dì regola non reperibile da parte delle forze di polizia e della magistratura, ma nel caso di specie non è ben chiaro se il riferimento del Di Gati ai “pizzini“, che l’imputata avrebbe mandato al fratello (sia pure capomafia/latitante), sia da intendere in “senso stretto”, appunto secondo quel concetto dì messaggio segreto utile per il perseguimento e rafforzamento degli obiettivi del sodalizio criminale, ovvero in termini più “specifici”, come messaggi che  egualmente possono circolare tra  un soggetto in latitanza  ed  i suoi familiari su argomenti strettamente domestici e/o personali, comunque avulsi dalle logiche di “Cosa Nostra”.

Chiarito che maggiori informazioni non possono essere al riguardo fornite dal Di Gati, il quale va anzi apprezzato per aver riferito davvero tutto “quel poco” che sapeva sul conto della sorella di Gerlandìno Messina, pare emblematico il fatto che il predetto collaboratore dì giustizia abbia associato, nel ricordo mantenuto su quanto riferitogli dal Messina, un ruolo di “gestione della latitanza”  al fatto che l’imputata  “gli mandava  i pizzini “.

Non potendo trarre alcuna conferma sulle modalità tramite le quali l’imputata, per di più strettamente sorvegliata dalla forze dì polizia (tanto che persino il capomafia si lamentava di questa situazione: “l’aveva con quelli della Polizia che ogni tanto la maltrattavano”) avrebbe svolto questa attività di “postina” (lo stesso Di Gati ha detto: “… come faceva,  come non faceva di specifico, non glielo so dire”) ancor meno può azzardarsi in questa sede sul contenuto dì tali missive né tampoco sui soggetti destinatari.

Ma indicazioni non meno certe possono trarsi dal contenuto della missiva catalogata “l S” oggetto di sequestro (sequestro intervenuto, si badi bene, circa  5  anni  dopo  rispetto  ai  fatti noti  e narrati dal Di Gati) sulla quale, anche in questo caso, è opportuno spendere alcune valutazioni aggiuntive rispetto a quelle già formulate con la decisione di primo grado (alla cui motivazione per  completezza  si rinvia).

Ed invero, malgrado rimanga alquanto sospetto che nella lettera indirizzata da Anna Messina al proprio fratello latitante, che aveva ad oggetto discorsi vari di stretta competenza familiare, ad un certo punto compaia quell’inciso, apparentemente avulso dal resto del  contesto  dello  scritto, riferito al fatto che il giorno prima la stessa imputata si era incontrata con quel soggetto indicato con la sigla “GS (ovvero “45”) il quale, sempre secondo la redattrice della missiva, si era “stranizzato che non c’era posta per lui” in quanto era in attesa di “una risposta” da parie del Messinaun po’ urgente”, è altrettanto vero che nella medesima missiva altri soggetti, in seguito identificati dalla Pg come appartenenti al nucleo familiare dei Messina e, comunque, non interessati da indagini, vengono indicati anch’essi in modo “velato”.

A fronte di questi elementi, che valgono a segnare un insuperabile dubbio circa l’effettiva natura dell’attività concretamente posta in essere dalla Messina, risulta per tabulas che la stessa svolgesse, per come anticipato, un chiaro ruolo di “favoreggiamento personale” per il proprio fratello latitante, noto esponente mafioso, un ruolo di cui si ha conferma sia da quanto riferito da Di Gati sia dal contenuto della più volte citata missiva scritta dalla stessa imputata.

Tuttavia, rispetto a quest’azione delittuosa, che pur emerge dagli atti e nei cui ambiti giuridici va ricondotta, la fattispecie oggetto di contestazione, opera la causa di non punibilità poiché il fatto è stato commesso da Anna  Messina  in favore di un  ”prossimo congiunto”, quale è suo fratello Gerlandino.

L’esito assolutorio comporta la revoca anche delle statuizioni risarcitorie disposte in primo grado in favore della parte civile.