“Perchè allora, quando c’era il “professore” là, proprio a Sambuca, una volta lo sono andato a trovare insieme a Luca. Luca Bagarella. E quello era disponibile a trecentosessanta gradi, dico va, non è che.. Basta che si presentava tutto (incomprensibile, ndr) e si aprivano no le porte, si spalancavano tutte cose! Dopo Luca non c’è stato più .. e quindi c’è stato un po’ di allontanamento, ma che io mi ricordi, quando l’ho visto io l’ultima volta è stato nel.. che per almeno sarà dodici, tredici anni fa. (incomprensibile, ndr) Dopodiché non l’ho visto più. Ora questo mi diceva, a me ieri sera, che questo suo cugino … sarebbe una persona valida. Però, mi ha detto, non so se che forza abbia. Ora, dice, aspettiamo, aspetto la telefonata per vedere, dice, eventualmente se dobbiamo fare una camminata o no, ma sempre per quel discorso di Pietrino, non per altro”.
Tracce di un passato di onnipotenza mafiosa, nella intercettazione tra mafiosi appena trascritta.
Tracce della potenza mafiosa di Leo Sutera, “u profissuri”, boss di Sambuca di Sicilia e capo della provincia di Cosa nostra agrigentina, oggi finito nuovamente in carcere.
Rapporti eccellenti con Matteo Messina Denaro al punto che, per il procuratore aggiunto Teresa Principato, seguendo Sutera si poteva arrivare alla cattura del boss dei boss, e rapporti eccellenti con Leoluca Bagarella che dell’ala stragista corleonese è stato il più fervido sostenitore (più del cognato che risponde al nome di Salvatore Riina).
Ecco cosa aggiungono su Leo Sutera, i giudici palermitani che hanno dato vita, tempo fa, all’operazione “Grande passo 4”:
Antonino Di Marco, tentando di affidarsi alla collaborazione di tutti i suoi più fidati collaboratori, chiedeva anche a Parrino Nicola, arrestato nell’ambito dell’operazione “Grande passo“, se conoscesse qualche referente mafioso di spessore nella provincia agrigentina.
La parallela richiesta avanzata da Di Marco, prima a Di Miceli Leoluca e poi a Parrino Nicola, membro acclarato dell’organizzazione mafiosa, non faceva altro che confermare con maggiore fermezza, l’analoga posizione di Di Miceli in seno al sodalizio, rendendo palese come questo tipo di richieste venissero fatte solo ad altri associati, o comunque portatori di interessi mafiosi.
Di Marco esordiva chiedendo a Parrino quali fossero le sue conoscenze su Sambuca di Sicilia o sulla limitrofa Santa Margherita Belice, specificando come si stesse concretizzando una questione lavorativa molto interessante per la quale risultava indispensabile contattare il referente mafioso di quella zona.
Quest’ultimo, stando alla precisazione di Di Marco, avrebbe dovuto possedere “un certo peso”, alludendo quindi ad un elevato spessore mafioso. Parrino si dimostrava fin da subito molto attento alla questione, ed infatti confermava a Di Marco che si sarebbe immediatamente occupato della questione, rivolgendosi ad un suo “amico” residente proprio a Sambuca di Sicilia. Questo soggetto, spiegava Parrino, sarebbe stato perfino in grado di arrivare direttamente al referente di Santa Margherita Belice (“posso fare una cosa, io un amico a Sambuca ce l’ho, un ragazzo, lo posso andare a trovare, ci posso andare solo a trovar/o, hai capito?”).
L’incontro continuava e le sue risultanze venivano registrate ed acquisite nella conversazione immediatamente successiva. Dopo una breve parentesi sul fatto che Parrino Nicola fosse stato contattato da tale Sortino Pietro, soggetto che lo stesso Parrino indicava quale imprenditore edile vicino agli ambienti mafiosi agrigentini, finanche recluso per ben nove anni, i due tornavano· ad affrontare la questione “Sambuca di Sicilia’.
Di Marco tranquillizzava il suo interlocutore, spiegandogli di aver già attivato Di Miceli Leoluca, il quale lo aveva messo al corrente della lacuna di potere venutasi a creare a Sambuca di Sicilia, dopo l’arresto di Sutera Leo, detto il professore. Di Marco riferiva inoltre di aver saputo, sempre da Di Miceli Leoluca, che per le questioni riguardanti la consorteria mafiosa di Sambuca di Sicilia, si sarebbero dovuti rivolgere alla famiglia mafiosa di Santa Margherita, rappresentata da Campo Pietro e al momento incaricata della reggenza su quel territorio.
Saporito riferiva poi di aver saputo, evidentemente da Vaccaro, che in altre circostanze, si era rivolto con successo a Sutera Leo, ma in mancanza di questi, non avrebbe saputo a chi rivolgersi.
Di Marco, ribadiva che il suo referente (Di Miceli Leoluca, ndr) aveva contattato un cugino del pentito Rizzuto, il quale pur mettendosi a disposizione, aveva precisato che avrebbe potuto garantirlo solo nel caso in cui il lavoro da effettuare non fosse stato di grande entità, rimarcando la sua limitata forza all’interno del sodalizio .
Grazie al prosieguo della conversazione era possibile confermare quanto prima affermato ovvero:
Vaccaro Pietro, si era rivolto a Saporito Bernardo per perorare la sua causa coinvolgendo soggetti mafiosi del corleonese;
Vaccaro Pietro optava per questa soluzione, dopo aver attestato l’inerzia di Geraci Francesco, figlio del capomafia di Chiusa Sclafani, Gaspare;
Saporito spiegava di avere un suo stabile referente su Santa Margherita identificandolo in Campo Pietro, sebbene precisava di non fidarsi del tutto.
Saporito Bernardo ribadiva come Geraci Francesco e suo padre, indicato come” il vecchio” non erano in grado di sponsorizzarlo.