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Vecchi e nuovi boss in carcere, pezzi da 90 “fuori gioco”, cosa rimane di Cosa nostra agrigentina?

Cosa rimane della vecchia mafia, ruggente e potente, della provincia Agrigentina?
Dopo le recenti condanne del processo “Vultur” con pene severissime per i due vecchi boss di Camastra, Saro Meli e, soprattutto, Calogero Lillo Di Caro di Canicattì (ai domiciliari per motivi di salute) e dopo l’arresto di Leo Sutera, l’ennesimo, che potrebbe averne fermato il raggio d’azione, occorre fare una seria riflessione su quanto è accaduto e sta accadendo nella micidiale provincia di Agrigento.
Ricapitolando, aiutandoci con le sentenze recentissime, sono detenuti: Leo Sutera, Lillo Di Caro, Rosario Meli, Pietro Campo, Antonino Iacono “Ninu u giardinisi”, di Giardina Gallotti, Francesco Messina di Porto Empedocle (della nota famiglia mafiosa e zio di Gerlandino, l’ultimo latitante eccellente) tutti condannati nel processo Icaro; lo stesso Gerlandino Messina catturato nell’ottobre 2010 preceduto di tre mesi dal boss campobellese Giuseppe Falsone.
Di Maurizio Di Gati e Luigi Putrone sappiamo tutto e sono già pentiti da anni. Così come il favarese Giuseppe Quaranta che, tuttavia, non ha raggiunto i livelli decisionali dei primi due.
Arrestati anche Giuseppe Genova, inteso Salvatore, di Burgio (vicinissimo a Sutera) e soprattutto Rosario Cascio, mammasantissima belicino di cui si hanno notizie mafiose sin dal periodo dell’omicidio del colonnello Giuseppe Russo, i castelterminesi Raffaele Faldetta e Vincenzo Di Piazza, una mezza dozzina di Marrella a Montallegro, qualche Ribisi a Palma di Montechiaro nonché il saccense Totò Di Gangi e morti tre pezzi da 90 come Ciro Tornatore e Giovanni Pollari (Cianciana), nonché Calogero “Lillo” Lombardozzi, “u ziu Lillu” che ha attraversato da protagonista sette lustri di vita mafiosa (dal blitz “Santa Barbara nel 1984 sino allo scorso anno) mantenendo un ruolo di assoluto rilievo. Una menzione merita Salvatore “Totò” Fragapane, seppellito in carcere da decenni, i cui eredi, non solo di sangue, hanno determinato le dinamiche mafiose agrigentine del secondo millennio.
Diciamolo francamente: di pezzi da 90 noti alle cronache ed ai rapporti giudiziari non è rimasto alcuno.
Ed in questi anni appena passati sono stati proprio i noti a tentare di ricostruire, dalle macerie provocate da un’incalzante azione delle forze di polizia e della magistratura, le famiglie mafiose agrigentine con Leo Sutera che aveva progettato la creazione dell’ottavo mandamento; con Pietro Campo che avrebbe dovuto essere a capo di un super-mandamento insieme a famiglie palermitane e con esclusione del gruppo corleonese; con Francesco Fragapane che ha vissuto da capo il tempo di un sospiro dato che l’operazione “Montagna” lo ha spazzato via insieme ai suoi sodali. Torniamo al quesito di partenza: cosa rimane della mafia agrigentina?

 

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