Laici in affanno, è il momento dei cattolici

di Nuccio Vara

Nel friabile contesto politico italiano, fortemente caratterizzato dalla vulnerabilità dell’attuale governo (attraversato da contraddizioni emerse platealmente anche nei mesi dell’emergenza Corona-virus), tornare a riflettere sul rapporto tra i laici e i cattolici nell’odierna scena culturale del nostro paese può risultare superfluo, un mero esercizio di retorica d’antan.

Ma si dà il caso che questo tema, per molti aspetti retrodatato, è stato inaspettatamente riproposto, riattualizzato dallo scrittore Sandro Veronesi in un suo recente articolo pubblicato dal Corriere della sera (In panne i laici, cattolici avanti, sabato 9 maggio 2020).

L’orizzonte problematico entro il quale si snoda la riflessione di Veronesi è dato, ovviamente,  dalla nefasta, letale epidemia che ci ha sconvolti, dai suoi effetti devastanti nella vita della totalità degli italiani. Sintetizzando al massimo, Veronesi ritiene che nel tormentato periodo del lockdown solo dai cattolici “sia venuta l’ispirazione, la compassione e la forza necessarie per affrontare lo sprofondo in cui il fallimento della scienza, per secoli baluardo della cultura laica, ci aveva condannato“. 

E mentre “ogni prete che fa sentire la propria voce sembra depositario dei valori necessari per superare la prova “il mondo laico ha prodotto invece “polverosi funzionari tutti impegnati a snocciolare numeri senza senso …..”.  E ancora: “ … i valori si sono rovesciati: speranza, dialogo, condivisione si trovano nei dintorni del mondo cattolico, mentre l’ottusità e la pochezza di vedute, il conservatorismo auto-assolutorio e il burocratismo ipocrita e bigotto  infettano la nostra nobile tradizione laica “.

Sia chiaro, l’autore di Caos calmo e del recente Il Colibrì, non ha in realtà alcuna intenzione di distaccarsi dal pensiero laico al quale si sente intimamente legato; di esso – infatti – nella sua riflessione, anzi nel suo sfogo giornalistico, intende soltanto evidenziarne le derive attuali, riscontrabili – lascia intuire Veronesi – nella sua incapacità di proporre, nel qui e ora dei passaggi di fase della crisi epidemica, un orizzonte ideale, un  repertorio di valori , umanitari e civili, che, storicamente,  hanno costituto il patrimonio identitario  della cultura laica.  Una cultura che, al contrario di quella cattolica che pur  ha vissuto il trauma della rinuncia al pontificato di Joseph Ratzinger, non è stata in grado di rigenerarsi per tentare di  esercitare una funzione rilevante  nella società italiana  oramai pienamente secolarizzata. Ed è proprio questo il cruccio di Veronesi: l’afasia del mondo laico a fronte della vitalità morale e intellettuale del successore di Benedetto XVI, Papa Francesco,  il quale  solleva “temi fondamentali il cui peso la politica laica, via via sempre più rachitica e orfana“ non sa più come prender di petto. Tuttavia l’enfasi con la quale il nostro scrittore giudica le straordinarie  innovazioni introdotte da Bergoglio se da un lato  evidenzia un inconfutabile dato di fatto, dall’altro non coglie  le difficoltà  che  esse  hanno incontrato nei percorsi di diffusione e ricezione all’interno della Chiesa. Non tutto l’episcopato nazionale, né tutte le componenti del mondo cattolico – infatti – hanno sinora  unanimemente condiviso la visione ecclesiale del Papa argentino, fortemente segnata – come si sa – da una radicalità evangelica (opzione preferenziale per i poveri e gli ultimi, critica alla globalizzazione , difesa del creato) in gran parte mutuata dalla teologia del popolo latino-americana, versione lievemente più moderata di quella  teologia della liberazione suscitata dal Concilio e fortemente osteggiata, a motivo delle sue contaminazioni con il marxismo, da Paolo VI, da Wojtyla, da Ratzinger quand’egli era a capo del dicastero della Dottrina della fede, l’ex Sant’Uffizio.  Dunque, perplessità, riserve, talvolta dissensi palesi nei confronti della nuova prospettiva aperta al cristianesimo da Papa Francesco che, del resto, avevano raggiunto il loro acme alla fine dello scorso anno (il Corona virus era già in agguato), alla vigilia e nel corso della celebrazione in Vaticano del Sinodo per l’Amazzonia. La questione dei viri probati  per far fronte alla carenza di presbiteri in quell’immensa area naturale nel continente sud-americano, la difesa in essa della biodiversità , temi proposti come centrali nel documento in preparazione del Sinodo, avevano infatti  reso incandescente lo scontro nella Chiesa. Attacchi al Papa tacciato senza mezzi termini di essere un eretico, con le centrali internazionali del sovranismo cattolico che minacciavano addirittura uno scisma. Il quadro generale della Chiesa prima dell’irrompere del virus  non era pertanto dei migliori. E nel nostro paese anche i vescovi  più in sintonia con il magistero del Papa regnante non di rado sono stati costretti a fronteggiare nelle loro diocesi  azioni di opposizione (sotterranee o variamente camuffate)  alle nuove indicazioni pastorali.

La vitalità del cattolicesimo di cui parla Veronesi, per lo più espressione del protagonismo di una costellazione di movimenti cattolici di base, di realtà comunitarie, di reti di solidarietà cristiana, ha perciò raggiunto   un’inattesa, imprevedibile visibilità  soprattutto grazie “ a quell’immagine blu di Francesco che [pregava] da solo in Piazza San Pietro vuota“.

Un simbolo storico del tempo della pandemia che, senza alcun dubbio, è servito da modello di riferimento per quei preti che, nonostante lo stato d’eccezione ecclesiale, hanno continuato (pur nelle angustie della  comunicazione virtuale) a testimoniare la presenza vivente del Cristo e della sua Parola nella storia degli uomini. L’irrilevanza dei laici nei mesi della pandemia, soprattutto se messa a confronto con le sorprendenti  manifestazioni di creatività del mondo cattolico, va compresa  guardando innanzitutto al passato: al tramonto irreversibile delle ideologie iniziato con il crollo del muro di Berlino, alla frammentazione nelle società liquide delle sfere del politico e del sociale, all’affermarsi in esse  di stili di vita culturalmente omologati.

In Italia tutto ciò ha portato ad un sorta di progressivo depotenziamento  di quel nobile  filone politico laico e libertario che, prima  del declino dei partiti, era stato incarnato principalmente dai socialisti, dai repubblicani e dal Partito Radicale . A questo mondo, che si era nutrito di valori precedentemente elaborati ed espressi dal Partito d’azione e da uomini del calibro di Mario Pannunzio e Ernesto Rossi, è venuto a mancare  (soprattutto nei sette anni del pontificato di Bergoglio) quell’anticlericalismo che veniva  considerato come uno dei  suoi fondamentali cavalli di battaglia. Il delinearsi nella Chiesa di Francesco di un orizzonte entro il quale la sessualità non viene più demonizzata  e dove (sia pur ancora non senza riserve) si dischiudono le porte agli omosessuali, alle coppie separate  e ai divorziati ha reso sterile oramai ogni forma di ostracismo pregiudiziale  nei confronti del cattolicesimo. Così come la critica del Papa al finanz-capitalismo  e alla devastazione ecologica ed ambientale ha di fatto messo in luce l’incapacità della sinistra di governo, già da decenni ammaliata dalle sirene del mercato e della finanza, di dar voce e speranza agli ultimi e agli oppressi.

Sì, Veronesi ha proprio ragione, i valori si sono rovesciati. E chi vuol ridare fiato e respiro alla gloriosa tradizione laica italiana non può non prenderne atto.