Mafia, processo Trattativa: Generale Mori, “Ciancimino era agente sotto copertura”

La spinta che aveva indotto Vito Ciancimino ad accettare” dopo le stragi mafiose del ’92 “l’interlocuzione” con il Ros fu data “dall’orrore per le morti di Salvo Lima, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”. Per questo motivo decise di svolgere per conto del Ros il ruolo di una “sorta di agente sotto copertura” per conto dello Stato. Una interlocuzione che, secondo la Procura di Palermo avrebbe portato all’avvio della trattativa tra pezzi dello Stato e la mafia, con il capitano Giuseppe De Donno, che “sfruttando incontri casuali, incontrò e prese contatti con Massimo Ciancimino, stabilendo con lui una corretta interlocuzione”.

Mario Mori

A spiegarlo, rendendo dichiarazioni spontanee nel processo sulla trattativa, in corso davanti alla Corte d’assise di Palermo, è il generale Mario Mori, ex capo del Ros, imputato per violenza o minaccia a corpo politico dello Stato. De Donno, “ben conosceva la funzione di cerniera tra il mondo politico-imprenditoriale e l’ambito mafioso” di Vito Ciancimino. Ecco perché “nell’ottica di acquisire elementi utili alla prosecuzione delle indagini per giungere all’individuazione dei responsabili degli omicidi di quell’anno, in particolare per quanto attiene alla strage di Capaci – spiega Mario Mori rendendo dichiarazioni spontanee – e sulla base delle interlocuzioni avute con massimo Ciancimino, De Donno ritenne che Vito Ciancimino avrebbe potuto accettare il dialogo e, al limite, accondiscendere a qualche forma di collaborazione, se non altro per dimostrate la sua sempre proclamata estraneità a Cosa nostra”.

“Su queste basi” sempre secondo Mario Mori, che ha sempre negato l’esistenza di una trattativa tra stato e mafia “De Donno chies e Massimo Ciancimino se il padre sarebbe stato propenso a un incontro con lui”.

Dopo un iniziale rifiuto, l’incontro tra Ciancimino senior e l’allora capitano De Donno, ci fu. “Dopo un primo incontro di studio con l’ufficiale – dice Mori – a seguito della strage di via D’Amelio, Vito Ciancimino manifestò una certa propensione al dialogo”. E la spinta definitiva arrivò dopo la strage di via d’Amelio. Così ebbe inizio una interlocuzione tra i vertici del Ros e Ciancimino che “descrisse i fatti che lo avevano visto protagonista da cui emergeva chiaramente la fondamentale funzione di snodo da lui avuta nei rapporti tra mafia e mondo politico-imprenditoriale”

VITO CIANCIMINO

CIANCIMINO NON CONTRIBUI’ ARRESTO RIINA. L’ex sindaco mafioso di Palermo “Vito Ciancimino non contribuì in alcun modo alla cattura di Totò Riina”.

Così il generale Mario Mori, proseguendo le dichiarazioni spontanee nel processo sulla trattativa tra mafia e Stato, dove è imputato per violenza o minaccia a corpo politico dello Stato.

Mori smentisce così quanto affermato fino a poco tempo fa, durante il processo, da Massimo Ciancimino. “Per fermare le stragi bisognava prendere Riina, mio padre ne era convinto – aveva raccontato in aula Massimo Ciancimino – I carabinieri a quel punto capiscono che l’interlocutore mafioso diventa Provenzano e che in cambio gli si sarebbe dovuta garantire la libertà perché lui era l’unico che avrebbe potuto portarci a Riina”.

Secondo Mori non sarebbe stato possibile un aiuto di Ciancimino alla cattura di Riina perché l’ex sindaco venne arrestato il 18 dicembre 1991 e Riina arrestato il 15 gennaio del 1993. “Sono convinto – dice Mori – che se Ciancimino avesse potuto e ne avesse avuto il tempo, ci avrebbe messo sulla pista giusta perché aveva ormai capito che solo un contributo di quella importanza gli avrebbe consentito di mantenere lo stato di libertà che era per lui la ragione e il senso stesso della vita. Da qui il passo successivo a una collaborazione piena sarebbe stato un fatto possibile”. Ma Mori spiega anche “Ciancimino mai ebbe a dirci ch fosse il suo interlocutore o se avesse ricevuto documenti dalla parte mafiosa con richieste di qualsiasi topo che ci potessero interesse. Né ci fece vedere, tantomeno, o consegnò alcun documento”.