Categories: Culturafocus

“La stagione del dubbio”

Conversazione di Diego Romeo con la poetessa Gloria Riggio

Gloria Riggio nasce in Sicilia nell’aprile 2000.

L’Isola e la primavera le appartengono come una proiezione di se e del modo in cui abita il mondo. Studentessa presso l’Università degli studi di Trento dove vive e frequenta la facoltà di “Studi storici e filologico-letterari” ha esordito  nel 2017 con la raccolta poetica “Il mirto e la rosa”. In quell’occasione concesse a Grandangolo la sua prima intervista. Questa silloge “La stagione del dubbio” è la sua seconda opera.

Nobilissimi risentimenti, ironie insieme ad elegie lirico-negative che, per chi fa poesia, portano alla segreta promessa che le belle realtà esistono.  Quindi una tensione (essenziale alla lirica) fra il mondo com’è e il mondo come sarebbe bello che fosse.  Vi si trova l’immaginazione di altri mondi oppure di magiche trasformazioni di questo e di altri mondi che si possono costruire con i pezzi disintegrati di questo.

“Ha ragione, laddove la poesia ha un ruolo nella ricostruzione. Mi viene in mente il saggio freudiano che spiega i processi sotterranei al fenomeno di cui mi parla, “Il poeta e la fantasia”, del 1907.  Lì, in estrema sintesi, Freud compara l’atto creativo del bimbo al piacere dell’opera creativa dei poeti e sostiene che entrambi derivino da una sorta di meccanismo di difesa: l’uomo felice e appagato non fantastica, quello insoddisfatto lo fa.

Citando: “[…] ogni singola fantasia è un appagamento di desiderio, una correzione della realtà che lascia insoddisfatti”.  Sia il bambino che il poeta allora ‘giocano seriamente’, con una differenza: il poeta sublima questa sua insoddisfazione nell’arte rendendone pubblico il prodotto e concedendo l’immedesimazione a chi vi assiste insieme alla possibilità di andare oltre ciò che Freud chiama “ripugnanza” la quale è senz’altro in dipendenza dalle barriere che si elevano tra ogni Io e gli altri. E allora forse di questo che parliamo, di una modifica della realtà che tenda alla felicità, attuata attraverso l’arte”.

Una lirica autentica dove non mancano elementi profetici e palingenetici che talora esclusi, rientrano per altre vie per non distaccarsi da questo reale.  La bellezza che intercetta questa poesia passa per l’ironia e il lamento come mediazione tra reale e ideale. Lirica anche inevitabilmente sopraffatta dalla realtà perché sono troppe oggi le possibilità di verifica del reale.  D’altro canto si nota anche la capacità, in queste assimilazioni dell’anima umana, di raggiungere il dominio su tutto ciò. Altri poeti credono di raggiungere il dominio della realtà schiacciandola o esasperandola.

“Io non credo di voler dominare la realtà attorno a me. Né credo che la poesia in generale possieda ambizioni simili.  Credo che di dominarne gli slanci e le miserie poi, non ne esista neppure la necessità. Penso piuttosto, attraverso una sperticata contemplazione, di compiere ciò che lei ha già citato, cioè “un’azione di intercettazione della bellezza” e di tutto ciò che le si collega: è qui da intendere infatti come concetto fortemente inclusivo, per cui ciò che canonicamente saremmo indotti ad inserire nello spettro delle cose negative o meste, in poesia diventa ragione di incanto, pur senza perdere la propria connotazione.  È forse a questo che si riferisce parlando di elementi di palingenesi, potrebbe darsi”.  

È mia impressione che sei protesa alla profondità massima dello spirito dove si decide se essere pro o contro il problema religioso. Per adesso sei sulla soglia di un dio che piange, un dio cieco, il dio del dubbio, un dio dalla vita non facile, sconfitto. C’è consapevolezza del vuoto e dell’assurdo fatto di amarezza, accoratezza, ironia e di una sincerità vera sino alla scarnificazione.  Da qui nascono gli impulsi palingenetici di cui dicevo sopra per la fine delle cose, per la scomparsa dei cieli, per l’incontro insperato con buone creature, con un buon amore. Ed è qui che il tuo ritmo si distende e si raccoglie in una felice fusione, quasi una ritrosia del dissolvimento nelle cose vegetali e naturali.  Lo ritroviamo persino in qualche personaggio pirandelliano, forse Vitangelo Moscarda? O di qualcun altro che si dibatte e si imbatte nell’età della colonizzazione delle coscienze?

“Io la ringrazio profondamente per aver attuato un’analisi talmente incline all’ascolto dei versi che ha letto.

Ed è forse vero che la letteratura possiede il potere miracoloso di disvelarsi sempre diversamente in base a chi la legge. Questo dio del dubbio io non lo immagino chino agli altari di una sconfitta.  Lo immagino piuttosto sereno, talora crucciato, o in giro dentro gli occhi di qualcuno o dentro la siepe che costeggia un qualche bivio, in chissà quale vi(t)a.  Intendo dire che il principio de “La stagione del dubbio” non ha a che fare con una smaniosa necessità di certezze che scandisce il suo tempo sulla difficoltà di appagarsi. Al contrario: è la stagione – che per me coincide con la giovinezza e potrebbe coincidere con qualsiasi altra età – in cui ci si rende conto che uno dei momenti più formativi della scelta avviene ancora prima della scelta in sé e riguarda il momento che la precede, quello in cui è possibile prendere in considerazione anche le altre possibilità, capirne i perché pur non condividendoli. Il dubbio costituisce un procedimento inclusivo. E permette, dopo aver analizzato le altre possibili scelte e ragioni di giungere ad una maggior consapevolezza delle proprie”.