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Blitz “Icaro”, quando il passato ritorna: manette per “Ninu u giardinisi”, “Campanazza” e Ciccio Messina

I nomi sono eccellenti. Non tutti si intende.

Ma nell’operazione Icaro eseguita dalla Polizia di Stato per conto della Dda di Palermo i cognomi di famiglie storiche della mafia non solo agrigentina fanno capolino. A cominciare da Pietro Campo, detto “Campanazza” recentemente finito al centro delle cronache mafiose perché coinvolto nell’operazione “Grande passo 3” che ha abbattuto un nucleo di corleonesi fedeli a Totò Riina e Bernardo Provenzano che proprio in Campo avevano individuato il capo con la creazione di un nuovo mandamento territorialmente individuato nella Valle del Belice. Campo, peraltro era stato arrestato e condannato nell’operazione Cupola.

E poi Francesco Messina,  cugino in seconda del padre di Gerlandino, nipote di Antonino, il vecchio mammasantissima e cugino  di Giuseppe, papà di Gerlandino, questi ultimi assassinati nel corso della guerra di mafia empedoclina della fine degli anni 80 ed inizio anni 90. Francesco Messina entrò in tutte le indagini di quegli anni, venendo arrestato e poi scarcerato immediatamente dopo il tragico episodio dell’uccisione di un giovane empedoclino, Calogero Salemi, saltato in aria insieme ad una A112 appena imbottita di tritolo e così preparata per compiere una strage.

Ed ancora, Antonino Iacono, “Ninu u giardinisi” arrestato e condannato nel corso delle retate antimafia della fine degli anni 90, per lungo tempo unica figura di rilievo del panorama mafioso agrigentino ancora in libertà dopo gli arresti di tutti i boss provinciali. Circostanza che lo ha parecchio elevato di grado (o di rango) al punto che, si racconta, scalpitava per essere incoronato boss dei boss della provincia agrigentina. Poi, un rampollo del clan Capizzi, un La Sala di Santa Margherita Belice il cui cognome porta a Calogero La Sala, assassinato nel pieno della guerra di mafia degli anni 80, quella che fece terra bruciata al vecchio boss Carmelo Colletti.

Il blitz di stanotte viene così descritto in una nota dalla Polizia:

Dalle prime luci dell’alba, la Polizia di Stato, con l’operazione “Icaro”, sta assestando un duro colpo a “Cosa Nostra” agrigentina.

Le Squadre Mobili di Palermo e di Agrigento, in una operazione congiunta, hanno dato esecuzione ad un provvedimento cautelare, emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Palermo, dott. Giangaspare Camerini su richiesta dei Pubblici Ministeri Maurizio Scalia, Rita Fulantelli e Emanuele Ravaglioli, della Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di 13 soggetti, tra cui gli esponenti di vertice delle famiglie mafiose di Agrigento e Porto Empedocle, ritenuti responsabili dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, illegale detenzione di armi, detenzione di sostanze stupefacenti.

Con l’operazione “Icaro”, gli investigatori hanno verificato come non si sia mai interrotto lo storico sodalizio tra “Cosa Nostra” palermitana ed agrigentina, così come dimostrato dai documentati summit andati in scena nelle campagne agrigentine tra ruderi ed appezzamenti di terreno.

Le indagini hanno investito il capoluogo agrigentino e la zona occidentale di Agrigento, permettendo di ricostruire la pianta organica dell’associazione mafiosa “Cosa Nostra” in quel territorio ed, in particolare, di raccogliere numerosi elementi indiziari a carico del capo famiglia della cosca di Agrigento,  Antonino Iacono, agrigentino, cl.  1954 e del capo famiglia della cosca di Porto Empedocle, Francesco Messina, nato a Porto Empedocle, cl.1957. Questi ultimi, in particolare, operavano con metodo mafioso ed estorsivo per condizionare l’attività di ristrutturazione del rigassificatore di Porto Empodecle.

Dalle risultanze investigative, oltre alla supremazia dei due “capifamiglia”, sono emersi i ruoli di spicco di numerosi soggetti organici all’associazione, quali Giuseppe Piccillo, uomo di fiducia di Iacono, delegato all’organizzazione di incontri con esponenti mafiosi di altre famiglie locali e per conto del quale si è reso responsabile di più azioni intimidatorie, finalizzate ad estorcere il pizzo a numerose imprese locali attive nel settore del “calcestruzzo”; Francesco Capizzi e Francesco Tarantino,  organici alla famiglia mafiosa di “Porto Empedocle” e soggetti di fiducia di Francesco Messina, per conto del quale si sono resi responsabili di azioni estorsive in pregiudizio di imprese edili operanti in quel centro.  Questi avrebbero tentato di condizionare il trasporto da e per l’isola di Lampedusa, nonché l’attività di ristrutturazione di alloggi popolari a Porto Empedocle.

Tra gli arrestati anche Gioacchino Cimino, agrigentino, cl.1954, ritenuto organico alla famiglia di Porto Empedocle.