Mafia agrigentina, 7 mandamenti, vecchi e nuovi boss: ecco la mappa

Vi sarebbero 7 mandamenti con 41 famiglie a comporre il quadro della mafia agrigentina secondo la relazione della Dia riguardante il primo semestre del 2015, tra queste quelle di Favara e Lampedusa e Linosa.

La Dia scrive: “Le peculiarità dell’organizzazione mafiosa in provincia di Agrigento risultano sostanzialmente omogenee rispetto a quelle della criminalità organizzata della Sicilia Occidentale: stesso ordinamento gerarchico ed articolazione del territorio, modalità operativa e settori d’interesse”.

Nei suoi profili strutturali Cosa nostra agrigentina si presenta come una organizzazione verticistica ed unitaria con forte radicamento territoriale e un ruolo di rilievo sia nei confronti della stidda sia nell’ambito delle gerarchie mafiose della regione”.

I principali campi di interesse e di rischio infiltrazione delle cosche agrigentine – secondo quanto scritto nella relazione Dia – sono estorsioni e usura, il business dei rifiuti e il fenomeno dei migranti.

Questo il passaggio che riguarda la mafia agrigentina:

“Le peculiarità dell’organizzazione mafiosa operante in provincia di Agrigento risultano sostanzialmente omogenee rispetto a quelle della criminalità organizzata della Sicilia Occidentale: stesso ordinamento gerarchico ed articolazione del territorio, modalità operative e settori d’interesse, con analoghe criticità connesse al turn-over indotto, tra l’altro, dall’azione repressiva dello Stato.

Anche in quest’area permangono, infatti, condizioni d’instabilità degli assetti – sensibili nella governance di vertice alle recenti scarcerazioni di alcuni importanti sodali –  comunque influenzati dalla vicina provincia trapanese.

Nei suoi profili strutturali Cosa nostra agrigentina si presenta come un’organizzazione verticistica ed unitaria, con un forte radicamento territoriale ed un ruolo di rilievo sia nei confronti delle altre consorterie criminali gravitanti nella provincia (la stidda) sia nell’ambito delle gerarchie mafiose della regione.

Per il semestre in esame, si conferma l’articolazione in 7 mandamenti e 41 famiglie , tra le quali quelle di Favara, Lampedusa e Linosa che, al momento, non risultano collocarsi all’interno di specifici mandamenti.

La presenza di Cosa nostra, capillare e invasiva, si manifesta attraverso una gestione monopolistica delle estorsioni nei confronti di operatori economici e per la sistematica “colonizzazione” imprenditoriale. Quest’ultima sembrerebbe spesso realizzata sfruttando il parallelo canale dell’usura, specie nelle piccole e medie imprese, più soggette a crisi di liquidità ad anche con l’obiettivo di realizzare il definitivo spossessamento delle aziende. La pressione intimidatoria risulta, peraltro, indirizzata anche nei confronti di esponenti del mondo economico ed amministrativo, al fine di ingerirsi nel sistema produttivo e istituzionale attraverso il condizionamento dei centri decisionali.

La mafia agrigentina ha dimostrato, nel tempo, anche un’elevata capacità d’interazione con gli stakeholder del territorio, infiltrandosi nelle compagini sociali e mirando, attraverso una rete di collusioni, ad interferire nell’attività della Pubblica amministrazione al fine di dirottare a proprio vantaggio le commesse pubbliche.

Tra i settori particolarmente a rischio di infiltrazione si segnala, anche per la provincia di Agrigento, quello dei rifiuti, che risulta vulnerabile a causa di deficit gestionali ed infrastrutturali e di un cronico stato emergenziale che caratterizza tutto il sistema regionale.

La Commissione parlamentare d’inchiesta su ciclo dei rifiuti e le attività illecite ad esso connesse, con riferimento alle criticità inerenti alle discariche della provincia, in data 12 marzo 2015 ha audito il prefetto e il questore di Agrigento, nonché il procuratore aggiunto ed alcuni sostituti della locale procura che hanno offerto uno spaccato significativo delle fenomenologie collegate al ciclo dei rifiuti.

Altro comparto di particolare interesse per Cosa nostra  è quello dell’agroalimentare (agrumicolo, olivicolo, frutticolo ecc.) principale volano dell’economia del posto e collettore di attrazione di finanziamenti pubblici.  Nell’intento di riciclare il denaro e massimizzare i profitti le consorteria mafiose investono risorse economiche utilizzando prestanome in attività apparentemente legali.

L’interessamento di Cosa nostra alle attività imprenditoriali radicate nel territorio può essere desunto da diversi provvedimenti ablativi eseguiti dalla Dia di Agrigento.

Il 12 febbraio 2015 è stata confiscata un’impresa operante nel settore agroalimentare riconducibile ad uno degli storici boss di Cosa nostra agrigentina attualmente detenuto.

Il 27 febbraio 2015  è stato sequestrato un patrimonio consistente in terreni, fabbricati e conti correnti riferibile a due soggetti, padre e figlio, entrambi detenuti ed appartenenti alla famiglia mafiosa di Ribera.

La sezione operativa della Dia di Agrigento ha inoltre proceduto alla confisca di alcuni beni per un valore di circa 54 milioni di euro riconducibili a due fratelli originari di Racalmuto, imprenditori nel settore della produzione e commercializzazione di olio. Tra i beni interessati risultano anche immobili e imprese in Spagna.

Passando all’analisi dei gruppi criminali stranieri, si conferma il significativo ruolo rivestito nell’ambito della provincia, la loro progressiva integrazione nel tessuto socio-delinquenziale  ed i settori illeciti privilegiati, tra i quali l’immigrazione clandestina per gli enormi profitti che ne derivano e che inducono sempre più le consorterie criminali nordafricane a organizzare e gestire traffici di migranti. In proposito, gli esiti delle attività info-investigative non hanno, allo stato, evidenziato un diretto coinvolgimento della criminalità organizzata mafiosa. Si registra, altresì, il sistematico sfruttamento di manodopera straniera nei settori della pesca e dell’agricoltura.