Mafia

Morti di mafia: ricordati Cassarà, Antiochia, Montana. Agostino, la moglie e il giudice Costa

Anche quest’anno la Polizia di Stato di Palermo commemora con una unificata cerimonia, il commissario capo Beppe Montana, ucciso il 28 luglio 1985 a Porticello, il vice questore aggiunto Ninni Cassarà e l’agente Roberto Antiochia, caduti il 6 agosto 1985, in viale Croce rossa e l’agente scelto Antonino Agostino e la moglie Ida Castelluccio, trucidati il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di Carini. Nella mattinata alla  presenza dei parenti delle vittime e delle autorità civili e militari, la deposizione da parte del Questore di Palermo, di una corona di alloro a nome del ‘Capo della Polizia’ presso la lapide commemorativa ubicata nell’atrio della Caserma ”Boris Giuliano”, sede della Squadra Mobile di Palermo.

A seguire c’è stata la celebrazione di una Santa Messa, presso la Cappella della ”Soledad”.

“Non sono solo un freddo ricordo, ma bisogna essere consapevoli di ciò che è accaduto in quegli anni”, afferma il questore di Palermo Renato Cortese.

“E’ giusto alimentare ogni anno il ricordo – dice ancora il questore – che vada ad arricchire il ricordo dei nostri funzionari. Pensate che Cassarà è morto perché in quegli anni lui e i suoi uomini, molti dei quali oggi presenti, poliziotti in pensione, hanno avuto delle intuizioni contro la mafia straordinarie”.

E ancora: “Oggi per noi è facile investigare – aggiunge – e fare delle indagini, è facile perché abbiamo un contesto di solidarietà di gente che vuole la legalità. Pensate di immedesimarci in quegli anni in cui i poliziotti erano soli. E loro hanno pagato con il sangue. Ragazzi uccisi senza avere la possibilità di crescere. Dobbiamo ricordare per i giovani di oggi, perché ricordino. E per i giovani poliziotti che sappiano quello che è successo. nessuno deve mollare”. “Segnali concreti” di un ritorno della mafia che torna a sparare “non ce ne sono, ma è chiaro che la storia di Cosa nostra non è solo quella degli ultimi 25 anni, perché la mafia ha una storia di oltre cento anni. E’ chiaro che Cosa nostra, ha in se degli anticorpi molto forti. E’ radicata sul territorio e, quindi, bisogna stare attenti a monitorare per evitare che torni come prima. Anche se oggi abbiamo una società civile che dice no alla mafia e abbiamo anche ottimi investigatori. In questi cento anni – dice a conclusione Cortese – la mafia ha avuto modo di manifestarsi in forme diverse. Oggi per fortuna non è la Cosa nostra di tanti anni fa e questo lo dobbiamo alle azioni di contrasto forte. E anche grazie al sangue versato da Ninni Cassarà e dagli altri”.

Cerimonia per ricordare anche il magistrato Gaetano Costa con nota polemica: “Si è avuto paura di cercare la verità”.

Michele Costa, figlio del procuratore ucciso dalla mafia 38 anni fa, rilancia la polemica con quella parte della magistratura che, a suo giudizio, avrebbe dovuto approfondire con maggiore determinazione le cause e le responsabilità dell’agguato.

L’occasione per riaprire una vecchia ferita è la commemorazione del procuratore davanti alla lapide che in via Cavour a Palermo ne ricorda l’uccisione il 6 agosto 1980.

“Ci siamo battuti all’inverosimile – dice Michele Costa – ma la memoria di mio padre è stata cancellata”.

Per Costa l’eliminazione del padre ha tutti i caratteri di un “omicidio strategico“. E aggiunge: “Mio padre lo ha scritto prima di morire. Esiste per questi delitti una precisa esigenza: che si sappia qual e’ la scaturigine, la causa, ma non si sappia mai perchè. Mio padre è rimasto a Palermo solo due anni, e dunque sarebbe stato quasi facile individuare i colpevoli. Il vecchio pg di Caltanissetta (Sergio Lari, ndr) mi ha quasi insultato perchè avevo ipotizzato, peraltro con garbo, che si avesse paura a scoprire la verità. Perchè è proprio la verità a fare paura nei delitti di mafia”.

Con una nota il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci afferma. “Si ricorda oggi il sacrificio del procuratore Gaetano Costa e degli agenti di Polizia Ninni Cassarà e Roberto Antiochia. Costa aveva intuito che la mafia si era infiltrata anche all’interno delle istituzioni e lottava per rendere Palermo una città libera. Cassarà e Antiochia sono stati fedeli servitori dello Stato, lavorando anche in un clima ostile. Il loro sacrificio sia da sprone per rinnovare il quotidiano impegno di tutti contro la criminalità organizzata”.