Naro

Naro, si è aperto il mese del Patrono San Calogero. Città pronta per il 18 Giugno

Si è ufficialmente aperto stamattina il mese dedicato a San Calogero Patrono di Naro che come di consueto si festeggia a metà Giugno.

Il 18 giugno di ogni anno, devozione e folklore danno vita ai tradizionali festeggiamenti in onore di San Calogero, il Santo Nero, il cui culto attrae a Naro migliaia di devoti.
Molto intricata rimane la questione dei “Calogero” in Sicilia, alcuni la fanno risalire all’epoca bizantina (tra i secoli VII e VIII d.C.).
“Calogero”, infatti, in greco vuol dire letteralmente “bel vecchio”.

Il Santo è stato uno di quei vecchi venerandi che, per sfuggire alle persecuzioni degli ariani bizantini dalle terre dell’impero d’oriente, si trasferirono in Sicilia, dove vissero una vita eremitica, venerati dalle popolazioni cristiane.

Ed essi, poiché, venuti dall’oriente, nella fantasia popolare, più tardi furono raffigurati con la faccia nera, anche perchè la loro festa si celebrava nei mesi più caldi dell’anno.

Secondo Daniel Papebrook (1743) e gli inni di Sergio di Fragalà, monaco vissuto nel IX secolo, il Santo di Naro sarebbe nato a Cartagine e sia approdato in Sicilia, insieme a Gregorio e Demetrio, per sfuggire alle persecuzioni dei Vandali d’Africa (sec. V e VI). Secondo altre fonti, il Santo Nero nacque in Anatolia, in Turchia.
Grande è il campanilismo tra varie città siciliane, che rivendicano il culto del Santo.
Pochi hanno una concorrenza di popolo uguale a quella di Naro, dove vi si reca da molti comuni dell’isola ed anche da fuori, per sciogliere il voto emesso in un particolare momento fortunoso.
Molti fedeli promettono come voto il pellegrinaggio ovvero (U viaggiu scanzu a San Calò), che consiste nel salire a piedi scalzi la ripida altura, su cui è posta la città, attraverso la vecchia reggia trazzera, che si snoda fino alla Porta Vecchia, l’antico ghetto ebreo di Naro.

Il culto di San Calogero, che per la sua provenienza orientale pare che si chiamasse Aunone Narico, è databile dalla peste bubbonica che dal 1624 al 1626 imperversò in Sicilia e che cessò a Naro, come dice la tradizione, per un prodigio, dopo aver fatto migliaia di vittime e cioè per la visione avuta da Suor Serafina Maria Pulcella, terziaria francescana, della nobile famiglia dei Lucchesi Palli.
Fu nel 1624, infatti, che Suor Serafina ebbe la visione del Santo, il quale le diceva che, per sua intercessione, avrebbe avuto fine la terribile pestilenza.
Il popolo di Naro, in ringraziamento, condusse per le vie della città il simulacro del Santo e così la pestilenza finì.
E da quell’anno, la città di Naro scelse per suo Patrono e protettore San Calogero, assurto così al colmo della venerazione.
Si dice anche che nel 1693 Naro, sempre per intercessione del Santo, fu preservata dal terribile terremoto dell’11 Gennaio, evento che viene ricordato ogni anno dalla processione che i paesani chiamano “San Caloiru picciulu”.

La festa che cade a data fissa, il 18 giugno, giorno in cui, si dice, di un anno imprecisato del secolo VII, sia morto sul monte Kronio, mentre altri affermano che sia morto nel 561, all’età di 95 anni, è una festa ciclica, diversamente dalle altre del nostro ricco e vario folklore di Sicilia e dura esattamente 2 mesi (18 giugno Naro – 18 Agosto Racalmuto). E’ una festa che si manifesta anche con il pane lavorato in varia maniera, onde rappresentare le diverse membra del corpo miracolato, lavorato da esperti, che riproducono le varie parti del corpo, curandone anche i particolari.

Questo pane offerto come voto dai fedeli, benedetto dai preti del santuario, viene distribuito a tutti i fedeli che ne facciano richiesta.

Alle ore 10:00 del 18 giugno la statua del Santo, opera dello scultore Francesco Frazzetta, di Militello, ma per la prematura morte dell’artista, completata dalla figlia viene esposta in adorazione dei fedeli davanti al Santuario.

Alle ore 11:00 inizia la singolare processione.
Il maestoso simulacro del Santo, nero come il carbone, con la lunga barba fluente pure nera, con la sinistra porta il bastone argentato, con la destra sorregge la cassetta argentata delle medicine, simbolo delle guarigioni che elargiva ed in atto di benedire tutta quella folla immensa di gente variopinta, che si pigia, suda sotto il sole rovente di giugno, stanca, trafelata per portare il proprio voto, sul petto sotto la raggiera vi è la scritta in basso rilievo “In nomine Jesus”. In quel giorno, il Santo viene posto sulla vara dei miracoli, a forma di grande Straula, sotto un baldacchino rosso, che al grido di Viva Diu e San Calò, suscitando intensa emozione nelle migliaia di fedeli accorsi, come sempre, a manifestargli profonda devozione e gratitudine, si muove tirato con lunghe funi, alle quali si attaccano centinaia di fedeli di ogni ceto sociale, d’ambo i sessi e di tutte le età, giunti da ogni parte in pellegrinaggio.
Basta osservare la gente in processione, per avvertire il profondo senso di appartenenza che la lega a questo Santo.
Un sentimento dalle radici profonde.
Lungo la strada la gente si affanna a strofinare i fazzoletti sul Simulacro, perché è credenza che il Santo, dotato di poteri taumaturgici contro le malattie del corpo e quelle dell’anima, da cui scacciava i demoni, quindi, i fedeli vogliono portare a casa un talismano.
Si arriva, infine, alla Chiesa Maria Santissima Annunziata, (Matrice Nuova), dentro la quale il Simulacro viene portato, tolto dalla straula, con una vara, per la celebrazione della messa di ringraziamento.
Ma la festa del 18 giugno non è solo una briosa solennità di un giorno festivo, è il più grandioso pellegrinaggio che abbia luogo nella provincia di Agrigento.