Agrigento si prepara a reggere l’onda d’urto di due Shakespeare uno dietro l’altro.
Ieri è toccato a “Bisbetica”, adattamento de “La bisbetica domata” reso masticabile con toccate e fughe di musical mentre il 3 febbraio ci toccherà il “Macbeth” diretto e recitato integralmente da Franco Branciaroli.
Il caso o la necessità ha voluto che mentre ad Agrigento, borgo dell’impero, si rappresentassero due Shakespeare, all’altro capo dell’impero, addirittura nell’università di Yale, una petizione dei suoi universitari proclama basta con il sessismo nella letteratura, per “decolonizzare” da sessismo, razzismo, omofobia e transfobia i corsi di letteratura del prestigioso ateneo statunitense, reo di laureare cervelli convinti che per “studiare letteratura inglese possa bastare leggere autori maschi bianchi”.
Da qui la rottamazione di Chaucer, Spenser, Shakespeare, Donne, Milton, Pope, Wordsworth ed Eliot (cioè i grandi classici), rei non d’aver magnificato l’oppressione delle minoranze, ma del sol fatto d’essere maschi e, per giunta, bianchi. Solo così si farebbe spazio alla letteratura per troppo tempo offuscata dai maschiacci, ormai polverosi e – finalmente – temi come identità di genere, razza, sessualità e disabilità entrerebbero nelle aule in cui si forma la classe dirigente intellettuale americana.
Il fatto più significativo e controproducente è rappresentato dal ricordo che Harold Bloom, il saggista del “Canone occidentale”, si sia laureato proprio a Yale e che su Shakespeare abbia scritto studi di enorme bellezza e interesse. Quel Canone occidentale, rappresenta, è risaputo, il baluardo estetico contro i critici femministi o multiculturalisti o poststrutturalisti delle università americane, spesso definiti con sprezzo critici del Risentimento.
Il canone bloomiano affonda le radici in Shakespeare, da lui definito “aurora boreale visibile in un luogo che la maggior parte di noi non raggiungerà mai”.
La bisbetica che si è visto ad Agrigento è firmata dalla regista Cristina Pezzoli, già assistente di Massimo Castri (ma qui è una lezione dimenticata) e con l’adattamento e traduzione di Stefania Bertola con la dicitura “La bisbetica domata di William Shakespeare messa alla prova”, Bertola è una nota scrittrice di romanzi chick lit un genere che tende all’umorismo e al postfemminismo nella visione della vita e dei rapporti che coinvolgono settori come l’editoria, la pubblicità, la finanza o la moda con un tocco di irriverenza che oggi chiameremmo “Trumpiana”. Fatte le debite sforbiciature l’adattamento cancella il personaggio iniziale dell’ubriacone Sly e “senza tradire la commedia originale offre una rivisitazione in grado di affascinare lo spettatore restituendo la contemporaneità di un autore senza tempo”– troviamo scritto nelle note di regia.
La “bisbetica” Nancy Brilli è gradevolissima nel ruolo di Caterina e probabilmente le avrà giovato la esperienza raccolta con la partecipazione a film come “Femmine contro maschi” e il controcampo “Maschi contro femmine” di Fausto Brizzi.
La sostenibile leggerezza bertoliana si fa sentire anche nel Petruchio di Matteo Cremon che surclassa la compagine attoriale in maniera trascinante e al quale si deve il maggior gradimento della messinscena anche attraverso le sonorità del musical “Baciami Kate” sapientemente distribuite nei momenti topici e che hanno scatenato gli applausi dei più giovani.
E solo quando arrivano le musiche la commedia decolla dopo essere rimasta per la prima mezz’ora in fase di rullaggio poco decisa nella scelta iniziale di inventarsi la compagnia di attori che prova l’impostazione dell’opera shakespeariana tra capocomici indaffarati, registi latitanti e attori “fuoriregistro”.
Alla fine gli applausi arrivano da parte di un pubblico reduce dal “rimprovero” di applaudire poco di Carlo Buccirosso dei Compromessi sposi. Qualità di pubblico che sicuramente l’altra sera si è ritenuto confermato e assicurato che le cose non cambiano con una Kate-Brilli consapevole che “una donna arrabbiata è come una fonte d’acqua inquinata”.
Capovolti e schiaffeggiati i promessi sposi, il cartellone teatrale agrigentino adesso tenta di smontare le impalcature shakespeariane e induce a chiedersi se il dramma così concepito sia utile per noi e se la stessa idea di un teatro sia andata perduta insieme all’arte del dramma che non avendo posto di per se stessa nella vita contemporanea, si è confusa da un lato con la poesia lirica o con la musica pura e dall’altro lato col giornalismo e il pettegolezzo. Certo le disparatissime forme del nostro teatro sono ovviamente una ricchezza e l’ultimo teatro vivo che abbiamo avuto è quello del realismo moderno ma accettando il salotto borghese e la sua limitata consapevolezza della situazione umana si rischia che i drammi diventino brevi e astratte cronache del tempo.
Per le femministe, tanto per dirlo alla spicciolata, visti i capovolgimenti trumpiani, meglio questa “bisbetica alla prova” o la “marcia rosa” delle cinquecentomila di fronte alla Casa Bianca?
Testo e foto di Diego Romeo