Al “Pirandello” di Agrigento sogni per tutte le stagioni (ft)

Non ci sarà solamente il “Sogno di una notte di mezza estate” in scena l’altra sera ad Agrigento ma ci saranno sogni per tutte le altre stagioni, come ha lasciato intendere il direttore artistico Sebastiano Lo Monaco che nell’accomiatarsi ha riferito al pubblico plaudente di una prossima stagione teatrale, che si sta preparando, “ancora più straordinaria”.

Non ne dubitiamo anche se ci assale un dubbio, perché i già visti “Uno nessuno centomila”, “Il piacere dell’onestà”, “Il berretto a sonagli”, “La governante”, “La scomparsa di Maiorana”,  hanno causato qualche turbamento (guai a dire cambiamento) nelle “menti e nei cuori” della élite che tradizionalmente ha affollato le 600 poltrone del nostro teatro?

Tutta roba di gran peso letterario che la funzione sociale del teatro dovrebbe provocare e che solo una investigazione giornalistica potrebbe definire.

Pirandello non si legge ma si va a vedere, Sciascia è scomparso trent’anni fa e rischia di essere dimenticato, Pasolini manco a parlarne, dell’ultimo romanzo di  De Roberto, “L’imperio” oggi edito, ci sono poche notazioni e non se ne discute. Eppure sarebbe salutare e convincente leggerlo visto che chiude e ribalta ancora in profezia, la corrotta politica liberale di fine Ottocento che ci ricorda gli “Uzeda di oggi” nel proliferare di sigle partitiche che vorrebbero mascherare la vergogna dei partiti del passato, però con le stesse facce.

Romanzo che smaschera la violenza dei rapporti di forza nella famiglia e nell’agorà pubblica. Figuratevi che il romanzo si chiude con l’atroce simbolismo di un erede Uzeda che stupra il corpo inanimato di una ragazza svenuta.

E’ lecito sommessamente chiedersi cosa ci abbiano insegnato tutti questi nobili scrittori e che breccia abbiano aperto nelle nuove “affluent society” (si diceva un tempo) che oggi sono diventate piccola media borghesia che ha smarrito perfino il cosiddetto “ascensore sociale” e che è rimasta imprigionata nelle sue poco lungimiranti decisioni?

Lo Monaco l’altra sera appariva felice e soddisfatto nel dare la lieta novella al “popolo dell’Iva”, alla élite che gli consente di lavorare e dispiegare la sua professionalità di attore in un contesto italiano dove si narra di un teatro che arranca e dove il contesto agrigentino mostra la sua “disperata” vitalità con ben tre stagioni teatrali che quest’anno sono state portate a compimento.

Ci riferiamo non solo al Teatro Pirandello ma anche al “Teatranima” di Salvo Di Salvo, al Teatro da Camera di Mario Gaziano per non parlare dello scrittore Alfonso Gueli che da sei anni in assoluta autonomia, ha raccolto  nella compagnia “Attori per caso” i suoi amici del Lions club che torneranno in scena alla fine di maggio al “Posta Vecchia”.

I sogni shakesperiani dell’altra sera erano sogni  datati 1600 circa, sogni che si rincorrono nei secoli dove ognuno può anche riconoscersi nelle umane avventure, nella gioiosa sensualità teatrale.

Un rito antropologico che invita lo spettatore a cogliere l’attimo fuggente nel monologo finale del folletto umbratile Puk

Un monologo che ripeteva il giovane collegiale del film “L’attimo fuggente”, (interprete Sean Leonard) e che poi era costretto a suicidarsi perché il padre gli vietava di calcare le scene. Anche per questo non  si vorrebbe che ridessimo del nostro ridere, soddisfatti della nostra soddisfazione nel rincorrere lune e cieli di carta, ma consapevoli di un “teatro eucaristico” che offre il suo corpo per rinnovare un “patto di alleanza”, una concessione narrativa che conduce al confronto di se stessi.

Un confronto cartesianamente, pirandellianamente vero. E per non andare lontano, sciascianamente vero.

testo e foto di Diego Romeo