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Omicidio fidanzati a Pordenone, gli inquirenti: “Ecco come sono stati uccisi”

Un profilo anonimo su Facebook; due mesi di chat pungenti con Teresa Costanza, firmate con il nome di un’ex ragazza di Trifone; quest’ultimo che scopre che a inviare quei messaggi non era la sua ex ma il collega commilitone ed ex coinquilino Giosuè Ruotolo, con il quale finisce per litigare pesantemente. Volano minacce e lo scontro fra i due è tale da essere ritenuto insostenibile da Giosuè, al punto da uccidere entrambi. È questa, almeno, l’ipotesi che fanno gli inquirenti di Pordenone a conclusione dell’indagine sul duplice omicidio dei fidanzati per il quale Ruotolo è indagato.

«Volevo dirti che il tuo ragazzo si vede ancora con me. Io ci sto perché mi piace molto, ti sto solo avvisando», «se ne parli con lui nego tutto. Non ti conviene stare con lui», «Volevo dirti che il tuo ragazzo si vede ancora con me», «Controlla i suoi cellulari, so che ne ha due, un iphone e uno nero». Questi, e altri più pesanti, i messaggi inviati a Teresa nei due mesi di conversazione. E la ragazza ha risposto: «Ho informato il mio ragazzo. Io e Trifone ridiamo di te».

Gli indizi
Non c’è la prova regina della colpevolezza di Ruotolo ma esistono una serie di elementi a suo carico: la presenza sul luogo e all’ora del delitto, il buco di sette minuti della sua auto fra un passaggio e l’altro sotto le telecamere della zona, tempo nel quale secondo i pm avrebbe gettato la pistola nel laghetto, le falsità dichiarate nelle prime audizioni, quando diceva di essere rimasto a casa quella sera e, successivamente, quando ha sostenuto che i rapporti con Trifone erano buoni. «Ho mentito per paura delle conseguenze sul mio lavoro», si è giustificato lui nell’interrogatorio di ottobre, intendendo per lavoro l’ingresso nella Guardia di finanza.

La fidanzata
Poi c’è il capitolo Rosaria Patrone, fidanzata di Ruotolo, 24 anni, pure lei indagata. È’ accusata di favoreggiamento per aver tentato di inquinare le prove. Come? Invitando alcune amiche a non dire nulla agli inquirenti di quel profilo Facebook. Già, anche lei ne era a conoscenza. «Ed evidentemente aveva capito che rivelando la circostanza, le amiche avrebbero messo in difficoltà Giosuè», spiega l’investigatore.

I testimoni
Ma i nuovi testimoni sono soprattutto gli amici della caserma di Trifone. Cioè, i tre commilitoni che hanno assistito al litigio fra i due quattro mesi prima del delitto, circostanza rivelata solo recentemente e raccontata nei dettagli da uno dei tre. «Loro hanno visto quella zuffa ma probabilmente ce ne sono state altre. L’avessero detto prima, il caso sarebbe stato chiuso in tempi molto più rapidi. Purtroppo quello è un ambiente molto omertoso». Alla chiusura formale dell’inchiesta manca solo la consulenza informatica disposta sul computer della caserma usato da Ruotolo, che dovrebbe dimostrare come il profilo Facebook è stato creato lì, considerato che nel computer personale non è stata trovata alcuna traccia.

(articolo tratto dal Corriere.it)