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Mafia, 62 arresti: nell’inchiesta spuntano anche furti in provincia di Agrigento

Dopo l’azzeramento del mandamento di San Giuseppe Jato, in seguito ad un’operazione condotta nell’aprile 2013, un nuovo schieramento avrebbe approfittato del temporaneo vuoto di potere venutosi a creare per imporsi, come nuova forza emergente, mediante una lunga serie di danneggiamenti ed atti intimidatori nei confronti di quei soggetti che fino a quel momento si erano dimostrati vicini al vecchio potere mafioso. E’ quanto emerge dall’operazione antimafia dei carabinieri che ha portato a 62 arresti a Palermo ed in provincia. La situazione venutasi a determinare ha creato una grande tensione tra due fazioni, l’una rappresentata da Gregorio Agrigento e dalle persone a lui vicine – su tutti, Ignazio Bruno, gia’ sorvegliato speciale, e Antonino Alamia, barbiere – e l’altra da Giovanni Di Lorenzo, detto “la morte”, operaio edile, che avrebbe cercato nel marasma di gestire gli interessi dei vecchi, legati a Salvatore Mule’, vecchio capo mandamento, condannato a 19 anni di carcere e recluso al regime del 41 bis. Infatti, tra il giugno 2013 ed i primi mesi del 2014, si potevano contare otto atti intimidatori ed incendi ai danni di persone che erano considerate vicine a Mule’. Al fine di fronteggiare la fazione avversaria, Giovanni Di Lorenzo avrebbe cominciato ad approvvigionare armi preoccupandosi non solo di tutelare la propria incolumita’ da atti violenti, ma anche di porre in essere una serie di atti intimidatori. Cosi’, ad esempio, la notte tra il 18 ed il 19 gennaio del 2014, venivano uccisi numerosi bovini a Giovanni Longo – un allevatore gia’ tratto in arresto nell’operazione “Nuovo Mandamento”, vicino a Mule’ – in quanto accusato di avere trattenuto per se’ una ingente somma di denaro destinata alla famiglia del detenuto Salvatore Mule’, con la quale aveva acquistato un’auto, incendiata il 31 dicembre 2013, e gli stessi bovini, poi uccisi. Il 31 gennaio successivo, in seguito ad una mirata perquisizione eseguita presso un’area agricola ubicata alla periferia di San Giuseppe Jato, di proprieta’ di Giuseppe Tartarone Buscemi, venivano rinvenute, all’interno della stalla, occultate tra le balle di fieno, due pistole calibro 7.65, un fucile a canne mozze calibro 12, numerose munizioni e due passamontagna.

Le armi erano tutte perfettamente funzionanti, pronte all’uso e con il colpo in canna. Privato dell’arsenale di cui la fazione legata a Mule’ aveva la disponibilita’, Di Lorenzo avrebbe iniziato cosi’ una nuova spasmodica ricerca di armi e relative munizioni. L’attivita’ investigativa ha consentito infatti di documentare la compravendita di una pistola ad opera di Antonino Giorlando, imprenditore edile di Monreale, e la consegna di un’altra arma, calibro 32, da parte di Vincenzo Ferrara di San Cipirello a Di Lorenzo. Nel frattempo, la tensione venutasi a creare tra le due fazioni si risolveva solo formalmente con due riunioni tenutesi il 23 febbraio ed il 9 marzo 2014, tra i due schieramenti, ed in particolare tra il capo della famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato, Ignazio Bruno, con Antonino Alamia, il cassiere, e Giuseppe D’Anna, capo decina, da un lato, e Giovanni Di Lorenzo e Vincenzo Licari, locale imprenditore edile, dall’altro. Nel corso degli incontri veniva stabilita una pax mafiosa nel mandamento della valle dello Jato. Al riguardo, Di Lorenzo cosi’ si esprimeva: “Eh, io sono stato chiamato da un paio (di persone, ndt) per fare appaciare (per fare la pace, ndt)… facciamo l’appaciata (la pace, ndt) e poi si vede!… Domenica ho avuto una riunione, gliel’ho detto, le cose quando sono rapportate, di qua che arrivano da te … Omissis … gli ho detto, triplicano le cose!… Omissis… Gli ho detto, e poi succedono le male lingue!… Minchia,!… Minchia, ieri parole pesanti!… Io non mi spavento di te, tu non ti spaventi di me! Pitipum pitipam… Nca tirami (sparami, ndt), vediamo! Tirami! Se hai l’abilita’ mi tiri!… Ci deve essere un altro incontro per fare un’appaciata con tutti!”. Invero le acquisizioni investigative dimostravano che, nonostante i chiarimenti avvenuti in piu’ occasioni, non si giungeva mai ad una comunione di intenti tra le due fazioni, anzi il contrasto tra loro si riacutizzava, tanto che lo schieramento riconducibile a Salvatore Mule’, nella persona di Giovanni Di Lorenzo, si adoperava per reperire ulteriori armi. Il 4 novembre 2014, lo stesso Di Lorenzo veniva tratto in arresto in quanto sorpreso in possesso di una pistola replica a salve, modello 92 Beretta, modificata e perfettamente funzionante per camerare ed esplodere cartucce calibro 7,65.

Nel corso dell’attivita’ veniva anche identificato e tratto in arresto anche Raffele Bisicce’, della zona Bonagia di Palermo, soggetto che aveva modificato e fornito l’arma a Di Lorenzo. La successiva perquisizione eseguita presso la abitazione di Bisicce’ consentiva di rinvenire una pistola calibro 10,35 perfettamente funzionante, centinaia di munizioni di diverso calibro, oltre che l’attrezzatura per produrle. L’insediamento del nuovo potere mafioso si accompagnava ad una recrudescenza di episodi delittuosi, nella fattispecie estorsioni e danneggiamenti anche di ingente entita’ economica, che inducevano, segnando un incontrovertibile cambio di tendenza, taluni operatori economici ad abbandonare l’atteggiamento omertoso ed a rivolgersi ai Carabinieri per denunciare le richieste estorsive subite, permettendo, con le loro rivelazioni, di individuare ed accertare la responsabilita’ penale degli indagati. Piu’ in generale, nell’azione di prevenzione e contrasto al fenomeno estorsivo i Carabinieri si sono altresi’ avvalsi sul territorio del rapporto consolidato nel tempo con l’associazione antiracket Addiopizzo. Nel corso dell’attivita’ di indagine si acquisivano elementi di prova a carico di una serie di soggetti dediti al furto ed alla ricettazione di mezzi d’opera ed autovetture nelle province di Palermo, Agrigento e Reggio Calabria, tra cui Saverio Zinna, della zona Borgonuovo di Palermo, venditore ambulante nel settore ortofrutticolo, pregiudicato per reati contro il patrimonio e la persona, al quale i mafiosi di San Giuseppe Jato si erano rivolti per organizzare incontri al fine di recuperare mezzi da reimpiegare nelle loro illecite attivita’. In tale contesto venivano rinvenuti e restituiti ai legittimi proprietari i mezzi provento di furto.