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Camastra, parla Rita Meli: “Papà ha pagato suo conto con la giustizia che non deve ricadere sui figli”

Rita Meli per molti è considerata la donna che in questo momento comanderebbe il mandamento mafioso di Camastra.
Dopo l’arresto del padre, Rosario Meli, meglio noto come “u puparu” e dei suoi due fratelli Vincenzo e Giuseppe, per gli ‘addetti ai lavori’ e non solo Rita è considerata la reggente.
Anche lei, come Anna Messina, pur non vivendo il dolore di parenti stretti assassinati, ha avuto la vita segnata dalle vicende mafiose.
Destinataria di una richiesta di cattura, l’inchiesta è la stessa che ha portato in carcere il padre, il Gip del Tribunale di Palermo, Giuliano Castiglia, ha disposto diversamente rigettando l’istanza.

Abbiamo incontrato Rita Meli, ci ha accolti e con lei abbiamo parlato della vicenda e di altro.

Rita Meli per molti è considerata la donna che in questo momento comanderebbe il mandamento
mafioso di Camastra. Dopo l’arresto del padre, Rosario Meli, e dei suoi due fratelli Vincenzo e
Giuseppe, per gli ‘addetti ai lavori’ e non solo Rita è considerata la reggente.
Professoressa di professione, ha vissuto per oltre quindici anni al nord per poi tornare in patria dopo
i guai giudiziari che hanno coinvolto la sua famiglia. Poco conosciuta nell’hinterland, come lei
stessa afferma ha frequentato poco la mondanità e la quotidianità locale.
Rita Meli ci ha aperto le porte della sua casa facendoci sedere accanto alle foto di famiglia che
guarda con le lacrime agli occhi.
La mia forza sono i miei sei nipoti. Senza di loro la mia vita è distrutta. Ho fatto tanto per costruire
la mia carriera senza chiedere niente a nessuno. Sono stata via per tanti anni dalla mia terra e
adesso, vedere alcuni miei ex alunni che sui social mi dipingono come una persona malvagia, mi fa
stare male. A loro ho sempre insegnato il rispetto delle regole, del prossimo. Ho sempre insegnato
a denunciare il male, già da piccoli. Come ho fatto coi miei nipoti che si sono trovati a fare i conti
con gli sguardi accusatori degli altri bambini. Mettere in mezzo i piccoli, usarli come scudo, è stato
ingiusto.
A Camastra ci conosciamo tutti. Le persone che incontrano me e mia cognata ci dicono di continuo
che aspettano il ritorno di mio fratello Pino, Giuseppe.
Noi con la gente abbiamo instaurato un rapporto di stima e di affetto. E’ stata dipinta un’immagine
sbagliata del mio paese. I Meli non minacciano la gente affinchè scelgano la loro agenzia funebre,
sono i preventivi a parlare.
Rita Meli esordisce con un lungo sfogo. La prima domanda della nostra intervista sorge spontanea:
– Per molti lei è la capomafia in questo momento. Tutti la vedono come una donna al potere.
Cosa ha da dirci in merito?
Più che una donna al potere mi ritengo una donna forte. Se non lo fossi stata non sarei mai riuscita
ad affrontare una situazione del genere.
Vivo in una casa che non ha nemmeno un prospetto, con una mobilia modesta e senza sfarzi di
alcun genere. Ho la faccia della capomafia?
Sulla mia famiglia è stato buttato tanto fango. La condanna per associazione mafiosa di mio padre
negli anni ’90 è stata considerata la chiave per rovinarci la vita.
Conosco chi ci ha accusati di chiedere il pizzo. Le ripeto, siamo a Camastra, tutti si conoscono.
– Ci vuole raccontare la sua versione dei fatti?
Il signor De Marco dimentica che nel 2001 la moglie Irene si rivolse a mio fratello Calogero per
essere aiutata nella gestione della sua agenzia di pompe funebri. Mio fratello fu contattato dopo
che il fratello della signora Irene decise di prendere un’altra strada. Il marito, il signor De Marco,
invece voleva continuare a esercitare la sua professione di rappresentante e di condurre un altro
tipo di vita.

Mio fratello Calogero dopo qualche tempo decise di partire per il nord Italia e al suo posto, ad
aiutare la signora Irene, ci andò mio fratello Giuseppe che dedicò tutto se stesso per la buona
gestione dell’attività. Giuseppe si dedicava alla pulizia e alla vestizione dei defunti.
Nel 2008 Giuseppe decise di interrompere i rapporti con la con la signora De Marco e di dividere
tutte le spese affrontate insieme per chiudere definitivamente la collaborazione. Fu allora che
intervenne mio padre, Saro Meli, contattato personalmente dalla signora Irene dopo che i rapporti
si incrinarono del tutto. Ricordo che mio padre, che Irene la vide crescere, disse solo di risolvere la
questione da persone mature.
E’ stato facile per loro puntare il dito sulla famiglia Meli sapendo della condanna per associazione
mafiosa di mio padre. Ma le colpe dei padri non possono ricadere sui figli e mio padre per quella
colpa aveva già pagato. Le loro dichiarazioni sono uscite ‘a puntate’. E’ stato tutto costruito.
Ricordo che il socio del signor De Marco, il signor Forti, impiegò tre mesi prima di parlare davanti
ai giudici.
La signora De Marco continua a dire che per otto anni ha continuato a ricevere richieste di pizzo!
Se per loro i Meli erano dei mafiosi, perché si sono rivolti a noi?
Il racconto di Rita Meli è intervallato da lunghe pause tra una frase e un’altra.
Continua a guardare quella grande casa che appare vuota e le foto sul vecchio comò. L’anziana
madre nell’altra stanza accende la radio, forse per non sentire per l’ennesima volta il racconto, e su
una frequenza disturbata passa il ritornello di Poetica di Cremonini: “E anche quando poi saremo
stanchi troveremo il modo per navigare nel buio che tanto è facile abbandonarsi alle onde che si
infrangono su di noi” e il sospiro di una donna senza marito e senza figli in casa riempie una della
pause di Rita e si sente echeggiare per l’enorme appartamento. In qualunque modo stanno le cose,
questa è una storia triste e forse… poetica.