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Casteltermini: Alta mortalità per tumore, perché?

A Casteltermini però accade da anni un fenomeno tristemente bizzarro.

Si muore giovani e il più delle volte la causa è una neoplasia. Non c’è un tumore preponderante tra le righe della comunità.

Le lame sono diverse: vuoi la leucemia, vuoi i linfomi, poi ancora i tumori del seno, quelli dello stomaco, del pancreas e lo spietato glioblastoma al cervello.

Negli ultimi sei mesi, la triste conta si è infittita, con almeno dieci decessi per cancro ed un’età media di 55 anni (il caso limite una giovane di trent’anni).

Negli anni scorsi, in ambiti istituzionali, avevano perfino pensato di istituire un’anagrafe dei tumori, così da classificare le tipologie, i dati di incidenza, la coorte di persone colpite. In merito all’eccesso di neoplasie a Casteltermini, abbiamo parlato con medici del luogo e financo un noto oncologo, che allora prestava servizio al San Giovanni di Dio.

Le risposte erano simili.

Secondo loro si trattava di coincidenze, perfettamente allineate agli standard nazionali. I castelterminesi però si fanno da sempre tante domande e non hanno mai voluto credere al caso.

Un noto medico, un luminare, che per anni ha lavorato nell’agrigentino e che poi ha sfondato (anche nel settore oncologico) in ambiti nazionali e internazionali ci fornisce qualche risposta.

Il medico preferisce rimanere anonimo “più per opportunità che per viltà”, sottolinea. “Tuttavia, se vorrete, potrò dirvi la mia”.

“Casteltermini da sempre si è caratterizzato per essere un comune ad alta ‘morbilità’ .  Ha il primato statistico di ammalati di Chron ed ancora una forte incidenza di patologie autoimmuni (dalla tiroidite, alla sclerosi, alla celiachia alla temutissima artrite reumatoide).  Il clima non aiuta: il paesino è lontano dal mare ed è alle pendici del monte Cammarata. Ovviamente la mia esperienza non mi fa pensare ad una causa esclusivamente ambientale e climatica. Tra gli anni ’70 ed ’80 vi fu un fenomeno di inquinamento delle acque che fu preso sottogamba. La mancata salubrità dell’acqua, specie se causata da contaminazioni radioattive, può causare danni terribili per l’organismo e financo portare a mutazioni genetiche nelle generazioni future. Consideriamo che ampia parte della nostra alimentazione consta di acqua”.

Le acque inquinate di cui parla si limitarono solo al territorio castelterminese?

“Non propriamente. Fu interessata un’ampia zona della montagna”.

Dottore, parliamo della miniera Cozzo Disi, secondo lei può avere responsabilità in merito alla diffusione di neoplasie?

“Il materiale zolfifero, se opportunamente trattato no. Gli inerti si. E mi pare che la miniera ed i suoi meandri siano stati per anni un serbatoio di rifiuti tossici, in primis l’amianto. Questo, sebbene nascosto alla vista, in determinate condizioni climatiche, sprigiona nell’aria delle micro particelle tossiche, che possono colpire ad esempio i polmoni e favorire la comparsa del microcitoma. Senza contare che qualsiasi tipo di rifiuto radioattivo è tossico per l’organismo in generale. Se alla Cozzo Disi vi è stata una giacenza di inerti, facciamo l’esempio, per dieci anni, il rischio è moltiplicato per dieci. Se vi sono ancora, abbiamo un focolaio in atto”. 

Si può sperare che il triste primato castelterminese scompaia?

“Assolutamente sì. Le armi di difesa: ripulire dai rifiuti tossici e da quelli speciali. Smantellare anche le civili abitazioni dall’eternit. La legge prevede tutto ciò, ma l’applicazione è spesso claudicante anche nei pubblici uffici. Avere inoltre chiaro il proprio curriculum genetico. Capire cioè quanto ridondanti sono le neoplasie in un nucleo familiare e a quale tipologia appartengono. Se a ciò aggiungiamo una corretta alimentazione, uno stile di vita sano e la prevenzione, ritengo che si possano fare grandi passi avanti. Ricordiamoci che obesità e fumo sono gli alleati principali del cancro”.

Lei parlava anche di mutazioni genetiche forse legate al ripetuto inquinamenti delle falde acquifere. In merito cosa si può fare?

“Le mutazioni genetiche non sono curabili e talvolta non si sa neppure di averle.  Talvolta se ne viene a conoscenza per esami paralleli. In merito vi rassicuro che una mutazione non equivale necessariamente allo sviluppo della malattia. Anzi. Sovente la malattia grave è l’eccezione. Migliorando le condizioni ambientali e abbinando uno stile di vita sano, il rischio può essere arginato abbondantemente”.

Quindi si può ben sperare?

“Con il rispetto per se e per il territorio, assolutamente si”.