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Mafia,tolti sigilli a patrimonio imprenditore da 200 mln

La sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo ha dissequestrato il patrimonio da 200 milioni dell’imprenditore Vincenzo Rizzacasa, congelato su ordine del collegio allora presieduto da Silvana Saguto (oggi sotto inchiesta a Caltanissetta in merito alla gestione dei beni sequestrati e confiscati) sin dal 2010. Rizzacasa era stato processato e assolto con sentenza oggi ampiamente definitiva, perche’ confermata dalla Cassazione nel 2014, ma i suoi beni erano rimasti sotto sequestro, perche’ i presupposti del processo penale e delle misure di prevenzione sono differenti. Adesso il collegio presieduto da Giacomo Montalbano, che ha preso il posto della Saguto e che e’ stato relatore ed estensore del provvedimento, ha ritenuto insussistenti gli elementi costitutivi della confisca: Rizzacasa era stato considerato infatti prestanome del costruttore condannato per mafia Salvatore Sbeglia, ma i giudici, riprendendo i temi con cui la Corte d’Appello aveva assolto entrambi, nel 2013, cancellando le loro condanne di primo grado, hanno escluso che Sbeglia avesse collegamenti attuali all’interno di Cosa nostra e che potesse avere un qualsiasi ruolo di peso nelle dinamiche dell’organizzazione. Non vi sono certezze di alcun tipo, poi, neppure sulla effettiva disponibilita’, da parte del costruttore malioso, di ingenti somme di denaro da reinvestire. Tornano cosi’ a Rizzacasa una serie di societa’ specializzate in restauri e ristrutturazioni edilizie di pregio, riguardanti dimore storiche e edifici di interesse artistico, gestite da societa’ come Aedilia Venusta, Arbolandia, Verde Badia. Nel 2009, prima che scoppiasse il bubbone dell’inchiesta giudiziaria, l’allora sostituto procuratore Roberto Scarpinato, attacco’ Confindustria, sostenendo che l’organizzazione non era capace di cacciare gli imprenditori collusi: e il riferimento era proprio a Rizzacasa, su cui lo stesso Scarpinato, oggi procuratore generale di Palermo dopo esserlo stato a Caltanissetta, stava indagando. Successivamente l’imprenditore fu cacciato anche da Addiopizzo, associazione antiracket a cui aveva aderito. Pur avendo sostenuto sempre di essere stato una vittima della mafia, le sue denunce di estorsioni e intimidazioni non venivano prese in considerazione e addirittura il Gip Maria Pino si rifiuto’ di ordinare gli arresti dei suoi presunti taglieggiatori. Nel 2014 pero’ l’architetto ottenne un risarcimento da 300 mila euro nel processo Addiopizzo 5, in cui gli esattori e i mandanti del pizzo furono condannati a pene molto severe.