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Morta Rita Borsellino: una vita dedicata alla lotta alla mafia

Per Rita Borsellino la memoria era importante. Lo ha ripetuto fino alla fine. Lo ha ribadito lo scorso 19 luglio durante le commemorazioni di via D’Amelio. È stata la sua ultima uscita pubblica.

I lineamenti del viso provati dalla lunga malattia, il corpo segregato sulla sedia a rotelle, ma l’animo e la voce dalla parte giusta. Spalleggiava, all’ombra dell’ulivo di via D’Amelio i nipoti: Lucia, Manfredi e Fiammetta, dando vigore a un filo di voce. Era malata da tempo. Si è spenta nel reparto di Terapia intensiva dell’ospedale Civico di Palermo, dopo una crisi avuta la scorsa notte.

Era una donna dai tratti e dal piglio gentile. Educata anche quando scagliava i suoi dardi contro la mafia. Quella mafia maledetta che aveva cambiato il corso della sua vita.

Dopo il 19 luglio 1992 la vita di Rita Borsellino aveva cambiato itinerario. Era da anni farmacista, nella storica farmacia di famiglia nel quartiere Kalsa di Palermo. Poi la virata. La scelta di un impegno concreto contro chi aveva ucciso il fratello e continuava a mietere vittime, terrore e silenzio sordo in tutta l’isola.

Risponde presente alla chiamata di don Ciotti, che, nel 1994, le chiede di diventare uno dei perni dell’associazione Libera. Detto fatto. Rita Borsellino diventa la vice presidente dell’associazione.

“Io che non avevo mai viaggiato da sola, mi sono ritrovata a volare da una parte all’altra d’Italia e d’Europa. A parlare nelle scuole. A raccontare di mio fratello, delle persone come lui, come noi, la maggioranza per fortuna”.

Fu sempre nel 1994 che la Borsellino lasciò letteralmente sotto il portone (quello di via D’Amelio) l’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. “Bussò Berlusconi, raccontò alla stampa Rita Borsellino, ma non lo feci salire. Mi chiese cosa si poteva fare per sconfiggere la mafia. Risposi che loro che erano al potere potevano fare tutto”.

La politica non fu un miraggio per la dottoressa Borsellino. Nel 2006 scelse di candidarsi per il centro sinistra alla Presidenza della Regione. Contro di lei l’avversario più difficile: Totò Cuffaro, che rincorreva il secondo mandato. L’impresa era ardua. Rita non la spuntò, ma conquistò un risultato insperato: il 41,5% di voti.

Nel 2009 il grande boom di preferenze. Candidata all’Europarlamento, ottiene quasi 230.000 consensi. È l’europarlamentare garbata, tailleur bon ton, sorriso gentile, occhi chiari, dove era sempre installato un sentore di serenità. Nel 2012 accetta, sostenuta soprattutto da Leoluca Orlando, di candidarsi alle primarie del Pd per le elezioni del sindaco di Palermo. Fu battuta, di misura, dal giovanissimo Fabrizio Ferrandelli. Poi la frizione: Orlando che, d’emblée, decide di scendere comunque in campo e la spunta.

Quello fu l’ultimo atto siglato dalla Rita donna di politica.

Del resto lei, seppure nella scrupolosità delle mansioni svolte, non pareva tagliata per l’agone politico. Troppo gentile per certe arene, assai delicata per talune platee. Continuò a girare per scuole, convegni e manifestazioni. Proclamava, senza urlare, la lotta alla mafia e la libertà. Era gentile, lo ribadiamo perché l’abbiamo conosciuta, ed era una dote che saltava all’occhio. Gentile fino al 19 luglio scorso quando, raccolte le ultime forze, le ha messe insieme nel migliore dei modi ed ha onorato la memoria del fratello e delle altre vittime della strage di via D’Amelio.

Una signora. Questo era Rita Borsellino.

Così ci piace ricordarla, certi che con lei parte un pezzo di società perbene, un tassello fondamentale nella lotta quotidiana alla mafia delle piccole e delle grandi cose.

Rita Borsellino muore a pochi mesi di distanza del marito, Renato Fiore e lascia tre figli.

A tutti quanti l’hanno conosciuta dà in eredità una dote: l’essere una combattente pacata, lontana da sterili impulsività e sciocche cadute di stile.