Operazione “Cicero”, l’avvocato e la cassaforte della mafia: tutti i particolari

La Guardia di Finanza ha eseguito 9 ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip presso il Tribunale di Palermo nei confronti di altrettante persone, fra cui un noto avvocato palermitano, accusati a vario titolo, di associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, riciclaggio e reimpiego di capitali illeciti, con l’aggravante di aver agevolato “Cosa nostra”.

Il legale arrestato oggi a Palermo nell’ambito dell’operazione denominata “Cicero” è Marcello Marcatajo, 69 anni. A parlare di lui è stato, nei mesi scorsi, il pentito di mafia Vito Galatolo. Il legale si sarebbe occupato della gestione degli immobili del costruttore mafioso Vincenzo Graziano.

 

All’alba di oggi i militari del Nucleo speciale polizia di valutaria della Guardia di finanza hanno eseguito nove ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip Lorenzo Jannelli su richiesta del procuratore della Repubblica di Palermo, Francesco Lo Voi e dell’aggiunto Vittorio Teresi per i delitti di associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, riciclaggio, reimpiego e peculato, tutti aggravati per aver agevolato cosa nostra. Personaggio di primo piano in quest’indagine è Marcello Marcatajo, stimato avvocato dell’alta borghesia palermitana, con pregresse attività di insegnamento universitario e di collaborazione con enti di rilevanza nazionale, che – come lui stesso racconta in un’intercettazione – ad un certo punto della sua vita ha deciso di entrare in rapporti di affari con Vincenzo Graziano, attualmente detenuto al regime del 41 bis per essere stato a capo della famiglia mafiosa dell’Acquasanta, e con i figli di questo. Nel corso delle indagini sono state scoperte numerose operazioni immobiliari di particolare complessità e rilevanza per il sostentamento della consorteria mafiosa.

Tra queste spiccano la costruzione di una villa bi-familiare a Mondello, la gestione di numerosi immobili all’Arenella e una particolare operazione immobiliare a Marino, in provincia di Roma, per la quale, con i noti metodi, i Graziano hanno indotto altri imprenditori edili a rinunciare all’appalto. Le attività investigative questa volta sono state mirate a disvelare i legami fra criminalità organizzata e “colletti bianchi”, uniti dal fine comune di concludere affari ed arricchirsi, anche avvalendosi, all’occorrenza, di metodi prettamente mafiosi.

Con un indagine a tutto campo, sviluppata soprattutto seguendo i flussi di denaro e i documenti sottesi ad operazioni commerciali, gli specialisti del Nucleo speciale valutario della Guardia di Finanza, superando il brocardo latino “pecunia non olet”, sono arrivati a scoprire il modus operandi di una mafia che si fa impresa e che come tale non può prescindere dal ricorso al sistema finanziario.

E’ così emersa l’esigenza dell’organizzazione mafiosa di affiancarsi a quella “zona grigia” composta da professionisti con importanti entrature nel contesto sociale di riferimento: in primo luogo, questi professionisti possono diventare, come è accaduto, una cassaforte per l’organizzazione, per il tramite della quale essa mette al riparo dai sequestri i capitali illecitamente accumulati; in secondo luogo, tali personaggi, costituiscono per i mafiosi dei veri e propri pass partout per accedere al credito, per effettuare investimenti e, più in generale, per interagire, inquinandola con i propri soldi sporchi, con la società civile. Risorse mafiose, riversate in società pulite, intestate ed amministrate da soggetti stimati, hanno consentito alla famiglia di Vincenzo Graziano di avviare, sotto la supervisione di Francesco e Angelo Graziano, alcune iniziative imprenditoriali, fra cui la realizzazione a Palermo, in Mondello, di due ville, ormai in procinto di essere ultimate. Proprio la presenza di insospettabili, come Marcatajo, ha consentito di vendere le due ville a soggetti gravitanti nel mondo imprenditoriale e politico; gli stessi acquirenti, con tutta probabilità, non avrebbero mai contrattato con Graziano, conoscendone i pregressi di giustizia. Nel corso delle indagini sono state ricostruite ulteriori ed anomale attività immobiliari e finanziarie poste in essere dalla “famiglia” dell’Acquasanta nell’ultimo decennio sempre avvalendosi della figura e della credibilità del professionista. Oltre a tali aspetti è emerso come il Marcatajo, stimato professionista, aveva ricevuto numerosi incarichi in qualità di curatore fallimentare; in tale contesto le indagini hanno fatto emergere come l’avvocato si sia appropriato di somme di denaro derivanti dal fallimento di una società amministrata e le abbia utilizzate per gli affari in comune con i Graziano. Di questa indagine rileva il pericolo sociale ed il danno all’economia lecita che risiede nell’illecita operatività di noti ed apprezzati professionisti che, se non fosse per le risultanze incontrovertibili di questa indagine, non si esiterebbe a ritenere al di là di ogni sospetto.

Tra gli arrestati anche il figlio del legale, Giorgio, l’ingegnere Francesco Cuccio, due presunti prestanome Giuseppe e Ignazio Messeri, i due rampolli del boss Graziano, Angelo e Francesco (quest’ultimo già detenuto), la nuora Maria Virginia Inserillo. Nel corso delle indagini sono state scoperte numerose operazioni immobiliari sofisticate e decisive per il sostentamento del clan. Tra queste la costruzione di una villa bifamiliare a Mondello, la gestione di numerosi immobili all’Arenella e una particolare operazione immobiliare a Marino, in provincia di Roma, con la realizzazione i decine di villette per la quale i Graziano hanno indotto altri imprenditori edili a rinunciare all’appalto. “Tutte questi signori hanno attinto e attingono da questa minna (da questo seno, ndr) che è la mia, sia come denaro, sia come garanzie, sia come attendibilità”: così parlava l’avvocato Marcatajo che non sapeva di essere intercettato, manifestando anche i suoi timori per gli effetti del pentimento dell’ex boss Vito Galatolo.

I 250 mila euro che l’ex boss, ora pentito, Vito Galatolo, avrebbe messo per l’acquisto del tritolo destinato ad un progetto di attentato al pm palermitano Nino Di Matteo, sarebbero provenuti dalla vendita di alcuni box auto di fatto di proprietà del capomafia. E’ uno dei particolari dell’indagine della finanza che oggi ha portato all’arresto di nove persone, tra le quali il noto avvocato palermitano Marcello Marcatajo. E’ stato lo stesso Galatolo, nei mesi scorsi, a chiarire la provenienza del denaro utilizzato per l’acquisto dell’esplosivo, che però non è stato mai ritrovato. Dall’inchiesta è emerso che Marcatajo, attraverso la società immobiliare Igm Srl, gestiva gli affari immobiliari del clan. Da lui, all’epoca insospettabile professionista, l’ex presidente dell’Ars, Francesco Cascio, acquistò una villetta che ora è finita sotto sequestro.