Il successo dell’Iliade all’alba al Tempio della Concordia, ha scritto in un suo comunicato il Parco Archeologico di Agrigento.
E ha fatto bene a gloriarsene per un evento che è stato anche mediatico ma con poche risonanze di cronaca. Soprattutto per il significato che ha assunto l’Iliade recitata dinanzi al Tempio della Concordia dinanzi al quale un mese fa altri dei multinazionali si erano accampati a banchettare.
Eventi ognuno con la sua caratura ma che forse non inutilmente ci ricordano come le nozze di Cadmo e Armonia furono l’ultima occasione in cui gli dei dell’Olimpo si sedettero a tavola con gli uomini per una festa.
Se il mito è una narrazione che si può capire solo narrando e raccontarne di nuovo le favole, Google è stato una parte di questa favola ma l’Iliade di Sebastiano Lo Monaco narrata con la sua voce robusta e forsennata come le mitologiche diatribe ed amori e guerre, ci ricorda come “queste cose non avvennero mai ma sono sempre”.
La locandina del Parco avvertiva che non erano previsti posti a sedere ma i “trecento giovani e forti” presenti con in più qualche anziano non si sono lasciati impensierire e alle sei del mattino, con in lontananza le luci tremule di un’Agrigento dormiente, hanno atteso l’incipit dell’Iliade: “Già spiegava l’aurora il croceo velo sul volto della terra….”.
Un’Iliade recitata in tempi di guerra, (ma quando ci sono stati i tempi di pace?), di migrazioni devastanti, addirittura di terrore nucleare, sotto lo sguardo del tempio dorico che dall’alto delle sue scanalature sembra sfidare i secoli e i nobiluomini che mettono a repentaglio i simboli di pace e di concordia sempre delusi.
Nel mentre scorrono i testi di Monica Centanni e risuonano le musiche originali di Dario Arcidiacono (laptop) eseguite dal Quartetto Aretuseo (Corrado Genovese – violino I, Christian Bianca – violino II, Matteo Blundo – viola e Stefania Cannata al violoncello vestita di una tunica da bianca vestale.
E’ passata appena la mezz’ora e già l’alba squarciava in lontananza l’orizzonte dietro il Tempio di Giunone, gli Atridi pugnavano, Achille piangeva il suo Patroclo e il corpo di Ettore veniva trascinato attorno alle mura della città.
Con perfetta puntualità scenografica il sole iniziava a filtrare tra le colonne del tempio e i primi rumori del traffico dei moderni Atridi si riverberava sul pianoro.
A nostro parere l’evento meritava più attenzione magari come esorcismo dei nostri istinti di guerra perenne, delle tenebre ricorrenti.
Il Parco Archeologico ha afferrato al volo l’alba che sorge tutte le mattine ad Agrigento che di albe più o meno metaforiche ne aspetta tantissime e non si comprende perché ci siano difficoltà a considerare l’evento un’opera del nostro cartellone teatrale di cui il sindaco inutilmente si adonta, per impacchettarla e spedirla in tournée a Pyongyang.