«La moralità italiana consiste tutta nell’istituire la censura” – afferma il personaggio di Alessandro Bonivaglia ne “La governante”.
Non solo non vogliono leggere o andare a teatro, ma vogliono essere sicuri che nelle commedie che non vedono e nei libri che non leggono non ci sia nessuna delle cose che essi fanno e dicono tutto il giorno».
Siamo al quarto appuntamento con il cartellone del Teatro Pirandello e come previsto registriamo un passato storico che ritorna a valanga e un teatro come specchio della vita. Con un Vitaliano Brancati salvifico fustigatore della nostra Italietta come lo fu il salvifico Oscar Wilde per la società vittoriana.
La brancatiana “governante” super-censurata nel 1952, riprecipita sulla scena di una Italietta (anche agrigentina) e ancora una volta deve sgombrare il campo dei vizi privati e delle pubbliche virtù con un impatto che continua a essere disturbante.
Il cast della commedia stavolta ha una ossatura solidamente siciliana, salvo per la Milicchio che è di Catanzaro. Per il resto, tolta per indisposizione Ornella Muti e sua figlia Naike, tutto sembra siculo-castale, a iniziare dal regista Guglielmo Ferro e dall’interprete Francesca Ferro che raccolgono l’eredità del loro grande padre Turi Ferro.
E che dire di Enrico Guarneri (qui Leopoldo Platania) sempre puntuale e “abbonato” ad una grandezza attoriale che ci lascia sempre ammirati.
In qualsiasi commedia metteteci Enrico e avrete sempre l’indiscussa potenza teatrale di un “Enrico IV”.
E anche in questa commedia Guarneri è naturalmente trainante per un gruppo di interpreti dove, a nostro parere, risalta la cameriera Jana (Nadia De Luca, se non andiamo errati).
La copertura siciliana si completa con il produttore Francesco Bellomo, agrigentino sempre presente in vario ruolo nel cartellone della Fondazione e che scegliendo “La governante” riprende in mano il coraggio dei tempi andati quando portava ad Agrigento “Notturno di donna con ospiti”, di Annibale Ruccello.
Con “La governante”, Bellomo sembra essersi messo sulla scia di Anna Proclemer quando annunciava ”riproporre al pubblico questa Governante è un segno, forse, che i fatti privati, i sentimenti personali, contano alla fine più di ogni altra cosa – E che finché continueremo a fare con il teatro delle esercitazioni di stile, sia pure ad alto livello, saremo condannati all’insoddisfazione e alla crisi. O il teatro diventa specchio della nostra vita personale e segreta, a tutti i livelli, o saremo ridotti all’ alienazione e alla nevrosi”.
Ma la Proclemer veniva fuori dai decenni di censura che avevano condannato la commedia del marito Vitaliano a non essere rappresentata. Quella stessa censura poi bocciata dai tempi e dalla storia che ci ha visto succubi delle dicerie andreottiane e inutilmente bigotte.
E oggi, con l’incalzare del “sovranismo” più o meno psichico, come dice il Censis, fino a che punto riusciremo a essere “depurati”?
Tutto da verificare quanto saranno consapevoli i direttori artistici dei nostri teatri, nel dare risposte alla domanda sociale più vasta possibile piuttosto che agli affari dei loro padrini politici e alle declinazioni personalistiche.
Testo e foto di Diego Romeo