Mafia, le nuove famiglie di Agrigento, Porto Empedocle, Favara e della provincia. Il ruolo di vertice di Pietro Campo

E’ un corso ed un ricorso storico favorito da alcune coincidenze sorprendenti.
Trent’anni fa di questi tempi, aula bunker di Villaseta (oggi in disuso) si chiudeva il primo vero processo alla mafia di Agrigento denominato “Santa Barbara”, quello istruito da Fabio Salamone e condotto dagli allora pubblici ministeri Rosario Livatino, Salvatore Cardinale e Roberto Saieva.
Presidente del Tribunale che inflisse pesanti condanne ai mafiosi eccellenti di Palermo, Agrigento, Canicattì, Campobello di Licata, Porto Empedocle, Valle del Belice e qualche colletto bianco, era Gianfranco Riggio.
E Riggio (Roberto) è il giudice che ha condannato i mafiosi agrigentini del secondo millennio del processo Icaro.
E nelle carte del processo Santa Barbara c’erano anche i nomi di Nino Iacono, “u giardinisi”, Francesco Messina e Pietro Campo oggi pesantemente condannati.
Ultima annotazione: ad occuparsi ora del processo odierno, denominato “Icaro” seppur con ruoli diversi, come allora: l’avvocato Nino Gaziano e il direttore di questo giornale.
Ed anche questa volta le condanne sono state pesanti.
Nell’inchiesta, condotta dalla Squadra Mobile di Agrigento, guidata da Giovanni Minardi, in collaborazione con i colleghi di Palermo, sono coinvolte 34 persone, di cui 22 hanno scelto rito abbreviato che prevede, in caso di condanna, una pena ridotta di un terzo.
L’operazione Icaro, condotta dalla Dda di Palermo, avrebbe, secondo gli investigatori disarticolato un’organizzazione mafiosa operante in provincia di Agrigento.