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“Dateci tutto o non passate”, migranti minacciati con le spade e rapinati al largo di Lampedusa

I dettagli dell’inchiesta della procura di Agrigento che per la prima volta contesta il reato di pirateria marittima

Pubblicato 2 anni fa



Bloccati al largo di Lampedusa dai pescherecci, minacciati con delle spade e lasciati senza denaro, cellulari e motore dell’imbarcazione in balia del mare. È un nuovo e pericoloso fronte quello che si apre con l’inchiesta della procura di Agrigento, guidata dal facente funzioni Salvatore Vella, che ha portato all’arresto di quattro pescatori tunisini a cui viene contestato – per la prima volta  in questo territorio – il reato di pirateria marittima. Si tratta dell’intero equipaggio del peschereccio Assyl Salah. Il gip del tribunale Iacopo Mazzullo, pur non convalidando il fermo, ha disposto la custodia in carcere di Nader Chika, 48 anni; Knessi Adnan, 46 anni; Banour Hatem, 43 anni; Joini Jilani, 50 anni. Gli indagati sono difesi dagli avvocati Gianluca Magliarisi, Roberto Majorini, Maria Laura Lo Presti e Rosalinda Mangiapane. Per il giudice il carcere è l’unico rimedio per fronteggiare le esigenze cautelari: il gruppo risulta essere ben organizzato e specializzato nella commissione di tali reati che, senza la custodia in carcere, rischierebbero di essere nuovamente commessi. A questo si aggiunge il concreto e reale pericolo di fuga. 

Ufficialmente pescatori, con tanto di patentino rilasciato per l’attività in acque tunisine, ma in realtà rapinatori. Le loro prede non sono certamente gamberi ma persone che rischiano la vita in mare in cerca di fortuna. Migranti fermati in veri e propri blocchi navali, minacciati con le spade e depredati di soldi e cellulari, peraltro unico strumento di comunicazione. E lasciati anche senza il motore dell’imbarcazione, in balia delle onde nella rotta del Mediterraneo. Ed è proprio grazie alle dichiarazioni di quattro migranti, giunti a Lampedusa lo scorso 17 luglio, che è stato possibile portare alla luce questo pericolosissimo fenomeno non molto distante dalle coste agrigentine. A 17 miglia da Lampedusa, precisamente. Una zona al di fuori della giurisdizione italiana ma che viene chiamata “contigua”. Tradotto, vuol dire che lo Stato può esercitare il controllo del territorio e il reato – pirateria marittima appunto – può essere punito dalla legge italiana pur essendo stato commesso all’estero. “Abbiamo tentato di fuggire da quella situazione – è il racconto di uno dei migranti – ma il peschereccio ha bloccato la nostra fuga, tagliandoci la rotta e mettendosi davanti a noi. Poco dopo i pescherecci si allontanavano da noi. A questo punto noi mettevamo in moto e ripartivamo ma poco dopo venivamo nuovamente bloccati dai due pescherecci che si mettevano uno a prua ed uno alla nostra poppa, bloccandoci. Il peschereccio ci minacciava nuovamente che se non avessimo consegnato il motore ci avrebbe fatto del male. […] I tunisini imbarcati sul peschereccio Mohamed ci mostravano una spada e per paura abbiamo deciso di consegnare il motore” 

Ed è in questa porzione di Mediterraneo che scatta il fermo del peschereccio, eseguito dalla Guardia di Finanza: a bordo ben due motori di piccole imbarcazioni, cinque cellulari e soldi contanti in dollari, euro e valuta tunisina. I quattro indagati, durante l’interrogatorio di garanzia, hanno respinto le accuse dichiarando di essere semplici pescatori, di aver aiutato un barchino in difficoltà e di aver addirittura allertato la Guardia Costiera. Tutte circostanze diametralmente opposte a quelle riscontrate dalla polizia giudiziaria: assenza di pescato, attrezzatura asciutta e pulita. E poi ci sono le dichiarazioni dei migranti che, dopo aver rischiato la vita in mare ed essere stati rapinati durante la traversata, hanno trovato la forza e il coraggio di denunciare. E, siamo sicuri, non sarà nemmeno l’ultima volta. 

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