Ignazio Cutrò in piazza con bidone: “Mi dò fuoco e i soldi per benzina li voglio dallo Stato”

Il messaggio in favore di Ignazio Cutrò

Il bidone vuoto mostrato da Cutrò

“Mandiamo un messaggio forte contro la mafia: io voglio far risorgere la mia azienda, ma lo Stato ci metta la faccia e la smettano con le passerelle. L’azienda di Cutro’ ha vinto Cosa nostra, ma e’ stata battuta dallo burocrazia dello Stato. Io ho scelto da che parte stare: ora sono gli altri che devono dare un segnale forte. Per questo chiedo al ministro Alfano e allo Stato di aiutarmi”. E’ tanta l’amarezza di Ignazio Cutro’, l’imprenditore e testimone di giustizia di Bivona, per anni sottoposto al racket, che dieci anni fa ha deciso di diventare un testimone di giustizia, denunciando i suoi estorsori. Oggi si sente abbandonato dalo Stato. Per questo motivo l’imprenditore, come gesto estremo di protesta, minaccia ancora di darsi fuoco: si e’ presentato in piazza Tredici vittime, davanti al monumento ai caduti di mafia, con la bandiera dell’Italia legata al collo e un bidoncino di plastica con scritto “I soldi della benzina me li deve dare il ministero per darmi fuoco”. “Oggi e’ vuoto- prosegue- ma non posso controllarmi per sempre. Questo Stato io lo rinnego e chiedo al ministro che prenda una posizione aiutando me e la mia famiglia e dimostrando che lo Stato vuole veramente sconfiggere la mafia”.

Ignazio Cutrò oggi insieme ai genitori dell’agente Agostino

“Prima delle denunce la mia azienda era solidissima ma poi, a causa delle mie denunce, sono arrivate le prime difficolta’. Tutto questo e’ stato confermato dalla perizia redatta dal tecnico inviato del ministero per certificare lo stato di salute della mia impresa”. Di quella perizia, tuttavia, secondo Cutro’, si sono perse le tracce, fino a oggi, fino al suo ritrovamento: “La relazione -prosegue- ha confermato che l’azienda non e’ stata chiusa a causa della crisi ma per i debiti e mancanza di aiuti dallo Stato che, per colpa della burocrazia, non sono mai arrivati. Ma non posso accettare di arrendermi e non voglio lasciare la mia terra ma continuare a fare l’imprenditore qui, in Sicilia: sono i mafiosi che devono andare via”. Con lui, a manifestare la propria solidarieta’, presenti alcuni familiari di vittime della mafia: Luciano Traina, il fratello del poliziotto Claudio, l’autista del magistrato Paolo Borsellino ucciso nella strage di via d’Amelio nel ’92 e Vincenzo Agostino, papa’ dell’agente Antonino, ucciso in un agguato nell’89 insieme alla moglie.