“Stiddari” presenti a Camastra, Campobello, Canicattì, Palma, Favara e Porto Empedocle ma “Cosa nostra” ha vinto il duello

La relazione semestrale della Direzione nazionale antimafia ci consegna una radiografia puntuale della situazione mafiosa in provincia di Agrigento alla luce delle ultime acquisizioni investigative.
Il profilo tracciato è questo:
Con riguardo alla provincia di Agrigento le attività investigative e gli esiti giudiziari registrati nel periodo di riferimento indicano che sono del tutto immutate le logiche e le dinamiche operative dell’associazione “Cosa nostra”, confermando inoltre che la sua presenza nel territorio agrigentino è sempre massiccia ed invasiva, con particolari e preoccupanti infiltrazioni nelle pubbliche amministrazioni.
Anche in detto territorio tale presenza si manifesta attraverso la gestione monopolistica delle attività criminali tipiche dell’associazione, tutte finalizzate all’accumulo della ricchezza (pur modesta nelle aree di riferimento) ed al controllo del territorio. Le estorsioni nei confronti di operatori economici e commerciali e la sistematica pratica della occupazione imprenditoriale in tutti i settori delle opere costituiscono ancora il sistema più diretto e remunerativo per garantire ai co-associati ed all’intera organizzazione il raggiungimento degli scopi criminali tipici.
La struttura “ordinamentale” dell’organizzazione è rimasta immutata in tutto il territorio della provincia di Agrigento, che ancora oggi risulta diviso in mandamenti, a loro volta suddivisi in articolazioni territoriali composte dalle singole famiglie, generalmente aventi sede in ciascun paese.
E’ storicamente e processualmente provata l’esistenza di consolidati rapporti tra le consorterie mafiose agrigentine ed altri apparati criminali operanti in America del Nord, in particolare negli Stati Uniti ed in Canada.
“Cosa nostra” ancora oggi, anche nella provincia di Agrigento, è un’organizzazione unitaria, verticistica, indirizzata prevalentemente all’illecita acquisizione di denaro perlopiù pubblico ed alla gestione del potere politico-economico-sociale.
Fortemente radicata sul territorio, “Cosa nostra” è uscita vincente dal conflitto con le organizzazioni stiddare e con le residue organizzazioni criminali radicate in alcune aree territoriali della provincia (si pensi ai cc.dd. “paracchi”, alle “code chiatte” ed alle “code strette” favaresi).
A tutt’oggi, in certi ambiti territoriali della provincia, l’organizzazione mafiosa assurge ancora a riferimento per la risoluzione di piccole e grandi controversie, tanto che sono radicati i comportamenti omertosi e di scarsa collaborazione con le forze dell’ordine, anche in occasione di gravi fatti delittuosi.
Per “Cosa nostra” continua ad assumere rilievo strategico avere tra i propri ranghi, o tra i contigui, soggetti politici in grado di dirigere, coordinare o intervenire in attività amministrative ed economiche ritenute di interesse per l’associazione mafiosa.
Le ditte riconducibili alle organizzazioni mafiose costringono i titolari di impianti di calcestruzzo a rifornirsi di inerti presso le loro imprese o presso imprese a loro riconducibili, impedendo alle vittime di decidere persino il quantitativo di materiale da acquistare o di fare una valutazione sulla convenienza del prezzo e sulla qualità del materiale.
Parte del ricavato delle attività illecite viene utilizzato, come da “prassi comune”, per sostenere economicamente i detenuti dell’organizzazione e le loro famiglie.
L’organizzazione mafiosa è presente anche nel settore della grande distribuzione ed in quello delle energie alternative. Tra quelli illeciti, nel settore del traffico delle sostanze stupefacenti.
La circostanza relativa all’assenza di omicidi riconducibili alla criminalità organizzata non deve produrre una flessione del livello di attenzione per gli equilibri tra le consorterie mafiose, anche in relazione ai collegamenti tra soggetti ritenuti appartenenti o vicini a “Cosa nostra” e soggetti un tempo ritenuti appartenenti ai gruppi stiddari gravitanti perlopiù nei comprensori di Favara e Palma di Montechiaro.
Sul piano organizzativo, ”Cosa nostra” della provincia di Agrigento è articolata in mandamenti mafiosi, a loro volta composti da famiglie mafiose, i quali risentono periodicamente di modificazioni generate da alleanze/scissioni, dalla cattura degli elementi di vertice, o da massive operazioni di polizia di rilievo territoriale.

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