Terrorismo, fermata e liberata ricercatrice universitaria: l’ira di Lo Voi (vd)

Il giudice la scarcera, ma le indagini non si fermano sulla ricercatrice della facoltà di Economia di Palermo, una libica di 45 anni fermata domenica dalla Digos e accusata di ‘istigazione e apologia di reato con finalità di terrorismo, con l’aggravante della dimensione transnazionale della condotta’; insomma, di fare propaganda per la Jihad, anche attraverso Facebook, rilanciando i proclami di morte dell’Isis e di Al-Qaeda.

Su Khadiga Shabbi il Gip sostiene che ci sono “gravi indizi”, ma non esisterebbe il rischio di fuga o di inquinamento probatorio. Con questa motivazione il giudice Fernando Sestito, non convalidando il fermo “per difetto dei presupposti di legge”, ha ritenuto sufficiente disporre solo l’obbligo di dimora, con il divieto di uscire da casa dalle 20 alle 7, respingendo la custodia cautelare in carcere – chiesta dalla Procura che ha adesso annunciato l’impugnativa del provvedimento – e disponendo l’immediata liberazione. La ricercatrice di Scienze economiche aziendali e statistiche, aveva iniziato il suo dottorato nel gennaio 2014. A lei la polizia ha sequestrato in casa materiale informatico e un pc e, si legge nel provvedimento del Gip, “ha realizzato le sue condotte attraverso strumenti informatici o telematici e segnatamente attraverso Facebook, condividendo sul suo profilo e sulle pagine del social network relative ad altri gruppi, sia aperti che chiusi, nonchè creando creando delle pagine Facebook ad hoc, materiale propagandistico delle attività svolte da gruppi islamici di natura terroristica, sia di tipo documentale che video-fotografico”.

La donna era stata reclusa al Pagliarelli e stamattina è arrivata la decisione del giudice secondo cui, però, “risulta accertato che la donna, nonostante viva in Italia e fuori dal contesto bellico libico, segua con la massima attenzione tali episodi, che la connotano come parte integrante di un sistema di cui ne condivide l’ideologia estremista islamica, e ancorchè, trovandosi nell’incapacità operativa che la pone in una situazione di disagio, tenta di colmare la distanza fisica con il suo appoggio incondizionato, sia attraverso il web che da supporto reale, diventando struttura logistica, pronta per la disponibilità ad ogni necessità degli estremisti islamici, e realizzando così una forma di istigazione delittuosa”.

La donna, che risiederebbe a Palermo da tre anni, avrebbe tentato di far arrivare il nipote, ritenuto un combattente dell’Isis poi ucciso in Libia, e avrebbe trasferito somme denaro per finalità sospette. E’ stata monitorata dalla polizia per diversi mesi e, secondo quanto si apprende, sarebbe imparentata con esponenti dell’organizzazione terroristica che avrebbe organizzato l’attentato all’ambasciata Usa in Libia nel 2012. Inoltre sarebbero emersi contatti con due foreign fighters, un del Belgio è uno del Regno Unito. Soprattutto sarebbe un ‘soggetto a disposizione’ dell’organizzazione terroristica Ansar Al Sharia Lybia. Elementi che fanno ritenere al procuratore Francesco Lo Voi, che coordina l’indagine insieme all’aggiunto Leonardo Agueci e al sostituto Calogero Ferrara, “la misura del tutto inadeguata alle esigenze cautelari e all’intensissima rete di rapporti intrattenuti dall’indagata, oltre che contraddittoria e contraria alla più recente giurisprudenza. Pertanto la impugneremo”.

“Rispettiamo questa decisione del giudice. Ricordo che in ogni caso non è una pronuncia sul merito delle contestazioni”, è il parere del ministro della Giustizia, Andrea Orlando.

“Rispettando le decisioni del giudice, anche quelle che non ci convincono, io credo che ci fossero forti e fondati elementi per la conferma della custodia cautelare”, sostiene il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Franco Roberti. “Noi rispettiamo le decisioni della magistratura e comunque proseguiamo il nostro lavoro”, si limita a dire il questore Guido Longo che spiega: “La donna era seguita da alcuni mesi e le indagini non si fermamo”.