Caffè letterario Agrigento: arrivano “sbirri e padreterni” ed è subito terremoto

Il chitarrista Tom Sinatra

Il giornalista scrittore Enrico Bellavia

Il poeta Enzo Argento , il prima a sinistra

Nono appuntamento col Caffè letterario “Sulla strada della legalità” che continua ad essere un incontro di grandi disvelamenti dei misteri di Stato, non solo, ma dei livelli letterari che si raggiungono rovistando negli armadi dell’anima dove si annidano nobili sentimenti, scheletri e cianfrusaglie.

Se la qualità viene fuori ovviamente molto variegata, il grado di partecipazione e di interesse rimane molto omogeneo anche se talora elitario visti i soliti catechizzati che  frequentano questo genere di iniziative.

Il vicequestore Giuseppe Peritore

La terrazza del Caffè letterario

Un esempio valga per tutti, in questo ultimo incontro dedicato a “Sbirri e padreterni” di Enrico Bellavia, l’artista invitato, Tom Sinatra, ha voluto omaggiare la manifestazione con la sua presenza nonostante la febbre a trentotto e mezzo. Forse una sfida a se stesso che gli ha consentito di trarre dalla sua chitarra strappi di virtuosismo con le note del “Padrino” e di “Malaguegna”. Sette minuti e poi Tom  è andato via a cautelarsi, una esecuzione che ha provocato un brivido a Enrico Bellavia che lo ha apertamente dichiarato.

E ai brividi della cronaca Enrico Bellavia è abituato: giornalista di “la Repubblica”, è autore di: Falcone e Borsellino, mistero di Stato (con Salvo Palazzolo, Edizioni della Battaglia 2002); Voglia di mafia. La metamorfosi di Cosa Nostra da Capaci a oggi (Carocci 2004); Iddu. La cattura di Bernardo Provenzano (con Silvana Mazzocchi, Baldini Castoldi Dalai 2006); Il cappio (con Maurizio De Lucia, BUR 2009); Un uomo d’onore (Bur 2010); Soldi sporchi. Come le mafie riciclano miliardi e inquinano l’economia mondiale (con Pietro Grasso, Dalai edizioni 2011).

Il moderatore Enzo Alessi lo lascia parlare e a valanga Bellavia snocciola uomini e cose, dettagli e motivazioni che il tempo forse ci ha fatto offuscare o  dimenticare. Meno male. quindi, che prima dell’incontro ce lo siamo tirati in disparte  e  gli chiediamo di raccontarci  alcuni passaggi salienti del suo ultimo libro.

Mi ha incuriosito  quella domanda del pentito Di Carlo che esterna a Falcone la sua sorpresa: “Dottore ma lei non lo sapeva il marcio che c’era nelle istituzioni? Com’è che ci stava e prendeva pure l’aereo dei Servizi”? Sappiamo che risposta ha dato Falcone a questa domanda dell’ex-boss dei Corleonesi?

“Non si sa. Anche perché, diciamo, il rapporto tra Di Carlo e Falcone è stato il rapporto tra un mafioso che non aveva ancora iniziato a collaborare con la giustizia e che era sfuggito per molto tempo alla cattura e che poi era stato arrestato in Inghilterra per traffico di droga. Falcone va a trovarlo, prova a farlo collaborare, iniziano un dialogo, c’è una “tastatina di polso reciproca” e poi ciascuno rimane sulle proprie  posizioni. Nel mentre Di Carlo lavora per conto di chi vuole delegittimare Falcone e da una grossa mano d’aiuto alla delegittimazione dove rientra il fallito attentato dell’Addaura che secondo Di Carlo era una azione dimostrativa, la bomba non sarebbe dovuta esplodere, oggi non abbiamo un elemento di certezza su questo e non l’abbiamo perché poi in altra maniera  si è  fatto si  che scomparissero le possibili prove. Improvvisamente perché non ci sono responsabilità di nessuno in questo caso, il detonatore che doveva innescare l’esplosione dell’Addaura è stato distrutto. E’ stato fatto brillare e quindi non sappiamo se davvero era in condizioni di innescare l’esplosivo. Di certo l’obiettivo finale era quello di spaventare qualcuno, di far montare la campagna di delegittimazione, che Falcone si fosse fatto l’attentato, che aveva smanie di protagonismo, che si era accasato coi socialisti e dalla sinistra arrivarono gli attacchi più vili che si potessero immaginare in quel periodo. Tutto questo contribuì alla delegittimazione e a creare un clima favorevole per l’attentato del 1992”.

Il tuo libro è un terremoto e di terremoti ce ne sono altri in giro come il libro del generale Angiolo  Pellegrini che ho intervistato qui ad Agrigento durante la presentazione del suo “Noi ragazzi di Falcone – La guerra che ci impedirono di vincere”. Per non parlare di “In missione – Una vita sotto copertura” di Vincenzo Fenili  un altro terremoto che circola pochissimo. E pour cause. Ma le vicende della “trattativa” che fine hanno fatto?

“La morte di Falcone e poi di Borsellino era un pezzo della trattativa. Sul processo della trattativa non sono in grado di fare pronostici. Non la vedo bene e non la vedo bene perché alcuni errori  sono stati commessi non tanto dall’accusa ma direi dal coro dei fan dell’accusa.  Noi ancora ci interroghiamo sulla trattativa, ma questo è il paese che si fonda sulla trattativa. Ci sono pezzi di questo paese che stanno costantemente dall’altra parte e ci sono ufficiali di collegamento tra l’altra parte e questa parte. Allora dopo le  tante volte  che tentiamo di metterci la coscienza tranquilla, dopo tante processioni, dopo tanti progettini nelle scuole, dopo tante commemorazioni, dopo tanto  tutto a posto, dopodichè dove andiamo a fare la spesa, da chi compriamo la casa, con quale mezzo ci facciamo fatturare le cose, che tipo di attività gestiamo e come la gestiamo, quanti compromessi accettiamo, chiediamocelo se non siamo stati rapiti da una magia  perché noi abbiamo una bellezza che ci stiamo facendo portare via. Non potremo vivere in libertà finchè avremo troppi, troppi, scheletri nell’armadio. Troppe cose irrisolte che poi ci fanno scrollare le spalle e ci fanno dire “iddu u sapi”. Noi lo dobbiamo sapere facendoci domande ed esigendo risposte. Di questa trattativa Stato-Mafia nel processo ci hanno raccontato pochissimo perché è passata l’idea che il cuore di quel processo passasse da quello che Mancino aveva detto a Napolitano. E i media a pedalare su cosa ci fosse in quelle intercettazioni  o se nella peggiore delle ipotesi Napoletano avesse cercato di dare una mano a un vecchio sodale democristiano  dei tempi in cui quella parte del Partito comunista andava a braccetto con una certa democrazia cristiana. Una consonanza politica  sanzionabile politicamente e probabilmente di nessuna entità processuale. Il processo racconta di possibili infedeltà nelle istituzioni. Io non penso che il processo esaurisca il tema trattativa, questo è il punto. Perché la trattativa non può esserci stata solo dopo le stragi, io penso che le stragi facciano parte della trattativa, siano parte integrante e questo è rimasto fuori da quel processo. A me come ad altri gli esiti processuali interessano ma non devono sterilizzare la nostra capacità critica, analitica e politica. Non possiamo dire sempre “ma non c’è sentenza” perché nei materiali giudiziari ci sono spunti per analisi politica seria. Diciamo sempre “i magistrati hanno un grande strapotere e la politica deve riprendere in mano la sua dignità e dare delle soluzioni. Bene, lo faccia, non aspetti il processo trattativa per interrogarsi se questo paese è fondato sulla permanenza dell’accordo con “l’altra parte”.

Un’ultima domanda, ma dopo tante ombre e nebbie , ed è già un eufemismo, su certi “corridoi” dei  Servizi più o meno segreti, chi e come potrà mettere mano a una ripulitura al loro interno?

“Sono molto pessimista sulla capacità del sistema di potere di autorigenerarsi.  Una componente importante è ovviamente la vigilanza della opinione pubblica e non è un modo di dire, noi dobbiamo riappropriarsi della conoscenza che non significa soltanto leggere i giornali. Bisogna farsi delle domande e pretendere delle risposte e poi esercitare in maniera attiva il diritto di voto che abbiamo, pretendendo delle risposte che non siano slogan.  Oggi nessuno ti dirà io sono per la mafia, abbiamo ad esempio il governatore della Sicilia che è  il più antimafioso degli antimafiosi eppure quest’antimafia rischia di diventare un dogma che non consente di farsi delle domande anche sulla condotta di alcuni uomini del governo siciliano e anche sulla tenuta di questo governo siciliano, che cosa sta facendo per l’isola. Anche l’antimafia rischia di diventare un conformismo al contrario. Allora noi cittadini facciamoci le domande e pretendiamo delle risposte. Più articolate sono più mettono in crisi il sistema di potere e sfidano le ombre”.

Per la cronaca il poeta raffadalese Enzo Argento ha omaggiato la memoria di Falcone  con la recita di una sua poesia al giudice dedicata. Il prossimo incontro del Caffè letterario è fissato per il 31 agosto con  “Il Sud Vola” di Alessandro Cacciato e “Comete” di Antonio Fragapane.