Lillo Pumilia: “Te la dò io “la Merica”

Intervista di Diego Romeo all’autore di “Ti la scordi la Merica”.

Sono stati 1505 i caltabellottesi emigrati dall’ultimo decennio del XIX secolo fino al 1924. “Espulsi” da Caltabellotta, stupendo borgo collinare dove nel 1302 si firmò una celebre pace che si rivelò poi un inutile pezzo di carta, l’autore del libro indaga e segue i percorsi di questi migranti dove tra l’altro – precisa l’on. Lillo Pumilia – ci sono i suoi quattro nonni che poi ritornarono al loro paese non proprio ricchi.

Pumilia fa luce sulle condizioni dell’Isola in un’epoca segnata dalla “Grande depressione” che rese insostenibili le condizioni di miseria e di emarginazione. Dai documenti esaminati ci viene riproposta dall’onorevole democristiano una realtà tragica ed insieme carica di grandi tensioni politiche e sociali.

Un racconto non di soli numeri che costituisce il fulcro di una tesi di  laurea  presa nel pieno dei suoi ottant’anni.

Edito da “Aulino”, “Ti la scordi la Merica” è stato presentato nell’aula Criscente del Polo Universitario agrigentino da Marcello Sajia, Gaetano Armao e Giandomenico Vivacqua, dove  abbiamo incontrato l’autore che ci ha rilasciato questa intervista e in anteprima annuncia la realizzazione di un grande convegno sulle migrazioni  da realizzarsi nel mese di giugno ad Agrigento e in seguito a New York.

On. Pumilia, una interessante presentazione come non si vedeva da tempo con gli interventi anche dell’avv. Michelangelo Taibi, di Paolo Cilona e del prefetto Diomede. Che valutazioni trae da queste “app” non certo virtuali? 

“Ogni intervento sicuramente ha dato un contributo di ulteriore riflessione su un argomento di tale portata e dimensione e che non potrà mai avere una sua conclusione. Ha bisogno di essere costantemente rivisitato e riletto sia dal punto di vista storico che è l’oggetto della mia tesi, sia dal punto di vista dell’attualità. Per questo ho apprezzato tutti gli interventi e soprattutto dalle tre presentazioni del prof. Gaetano Armao, del prof. Marcello Sajia e dell’avv. Giandomenico Vivacqua. Naturalmente l’emigrazione in provincia di Agrigento suscita immediatamente una attenzione verso l’attualità, verso il fenomeno inverso, cioè  l’immigrazione. Dell’approdo in questo lembo d’Europa di tanti poveri disgraziati che probabilmente vedendo in quello scoglio del Mediterraneo che è Lampedusa, come i nostri avi vedevano all’arrivo in America l’isolotto di Ellis Island dove sbarcavano, venivano messi in quarantena, dove venivano sottoposti a rigorosi esami medici e dove parecchi venivano rifiutati perché avevano malattie o non erano in condizioni fisiche per potere reggere l’impatto col nuovo mondo. Questi sono stati gli stimoli che mi hanno convinto a scrivere il libro e continueremo con un convegno internazionale che stiamo organizzando con l’università di Palermo, di New York e di Melbourne  insieme all’aiuto del cardinale Montenegro  che è un simbolo della vocazione umanitaria di questa nostra terra. Lo terremo all’inizio di giugno in collaborazione anche con il museo dell’emigrazione realizzato a Burgio nei locali della vecchia stazione che è proprio un topos, un luogo ideale che è il simbolo di partenza dei nostri emigrati che si recavano al porto di Palermo”.

Il titolo del suo libro  è tratto da una nostra  bella esclamazione siciliana. Quanto è distante questa esclamazione da quell’altra “Te la dò io l’America” che oggi mi pare risuona lugubremente  di “trumpismo”?

“Si, è un modo di dire che abbiamo sentito  spesso a indicare un traguardo irraggiungibile per una aspirazione che non si sarebbe mai realizzata. “Te la dò io l’America” è al contrario, cioè ti metto in condizioni rispetto a quello che avresti potuto realizzare in America. Che oggi bizzarramente debba farsi riferimento alle scelte del nuovo presidente americano. Credo che tutto questo sarà molto temporaneo, perché gli stati Uniti d’America sono un grande paese democratico, con pesi e contrappesi e che sta dimostrando già una capacità di reazione a certe formidabili sciocchezze”.

Un discorso, questo della migrazione, che ci riporta ai governi della politica che risulta talora poco profetica, poco avveduta e lungimirante. Lo vediamo in Europa come ancora non si riesca ad elaborare una accettazione  di questi eventi epocali. Anzi addirittura ci troviamo dinanzi a un rifiuto. Il problema è sempre politico e di un fattore umano sempre sacrificato sull’altare dei biscazzieri della finanza. E siamo tutti consapevoli di aver depredato l’Africa e quant’altro.

“L’incapacità della politica intanto parte dalla destabilizzazione criminale del Medio Oriente e della Libia di cui vediamo gli effetti. Sembra che il riflesso di certe scelte non arrivi mai insieme alla illusione  di potere essere i padroni del mondo e di non  ripartire mai questa nostra ricchezza con gli altri, l’illusione di essere i detentori di sistemi politici “superiori”, tra virgolette, rispetto a quelli degli altri. E poi c’è una situazione contraddittoria, per un verso l’Europa che costruisce la propria ricchezza in parte sul contributo dell’immigrazione senza la quale la Germania non reggerebbe se non ci fosse l’apporto di manodopera dall’estero, così come non reggerebbero i conti del pensioni per parecchie categorie, ma d’altra parte c’è questo sostanziale provincialismo di chi non capisce che l’illusione di alzare muri crea solo un consenso immediato di opinione pubblica che appare smarrita, perde le proprie sicurezze perché qualcuno gliele propina queste incertezze, ci lucra”.

Anche questo rappresenterebbe il tentato suicidio del capitalismo che non riesce a trovare un suo equilibrio.

“Sicuramente al fondo c’è una sostanziale incapacità politica delle classi dirigenti, questa illusione delle piccole patrie in Europa che è la prova della totale insipienza culturale prima che politica delle classi dirigenti”.

Il nostro ministro Minniti mi pare stia attuando una notevole revisione del problema immigrazione. Il governo cosa dovrebbe fare magari di più?

“Rispetto ad altri paesi l’Italia, quantomeno, ha mostrato il volto umano, il nostro governo non ha lasciato affogare nessuno, per quanto ha potuto”.

Però come non lasciare questa gente salvata che rimane allo sbando?

Purtroppo l’evento immigrazione è talmente improvviso e di tali dimensioni che obbiettivamente avrebbe messo in difficoltà chiunque. Si deve tornare a riflettere su questi centri di accoglienza e che si creino situazioni di ospitalità magari in cambio di qualcosa per rendere  accettabile il fenomeno immigrazione sia per i cittadini e sia dal punto di vista dell’immigrato che non sta lì a ciondolare in attesa del suo mitico diritto di restare in Italia. Questo potrebbe essere già un passo avanti rispetto a quello che abbiamo fatto. Io dubito che la soluzione di dire alla Libia pensaci tu a fermare i migranti sia accettabile perché sappiamo che in quel paese non esiste il minimo dei diritti umani rispettati”.